Covid, mortalità in terapia intensiva con Ecmo più alta dell’influenza

Covid rianimazione
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Dalla ricerca italiana ancora uno studio sulla mortalità per Covid-19. Il destino dei pazienti Covid ricoverati in terapia intensiva e trattati con con supporto respiratorio extracorporeo (Ecmo) è stato più spesso infausto rispetto ai pazienti finiti in rianimazione (e sottoposti allo stesso trattamento) per influenza A/H1N1.

Sono stati appena pubblicati su ‘Critical Care’ i risultati di uno studio multicentrico nazionale, che ha confrontato la sopravvivenza dei pazienti ricoverati in condizioni critiche per insufficienza respiratoria da polmonite Covid con quella osservata in un precedente gruppo di pazienti con influenza.

Lo studio, coordinato dal professor Vito Fanelli, del gruppo di ricerca della Terapia Intensiva universitaria dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, ha coinvolto sette terapie intensive italiane e ha portato all’arruolamento di oltre 300 pazienti con  una compromissione della funzione respiratoria tanto grave da rendere necessario il ricorso alla tecnica Ecmo per garantire livelli di ossigenazione necessari alla sopravvivenza. Questo perché, purtroppo, le attuali terapie non sono sufficienti in alcuni pazienti a supportare la funzione respiratoria, a causa del grave danno polmonare indotto dai virus.

I ricercatori si sono concentrati sul capire se esistesse un diverso rischio di morte dei malati con polmonite da Covid o influenza A H1N1 e se questo fosse dovuto ad una diversa azione dei due virus sul polmone, o piuttosto intervenissero altri fattori, legati alla storia clinica dei pazienti.

Nel caso dei pazienti Covid – a parità di gravità – la mortalità maggiore del 20% rispetto al gruppo con influenza (mortalità a 60 giorni 46% contro 27%). Ma perché? Tra le ragioni, secondo i ricercatori, ci sono l’età più avanzata ed il maggior numero di giorni trascorsi in ospedale prima dell’inizio dell’Ecmo, osservata nel gruppo di pazienti affetti da polmonite Covid-19.

Attenzione, però: si tratta di risultati relativi alla prima ondata della pandemia Covid-19, che però hanno permesso ai medici di capire quale sia la tempistica più corretta nell’offrire la terapia di supporto extracorporeo Ecmo e quali siano i malati che possano più beneficiarne. Infatti il rischio di morte si riduce per pazienti sotto i 65-70 anni e con degenza in terapia intensiva inferiore a 7-10 giorni prima del trattamento con Ecmo.

Insomma, ancora una volta – come nel caso delle terapie farmacologiche – emerge l’importanza di identificare precocemente i pazienti che potrebbero beneficiare di questa tecnica di supporto.

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