Ucraina, Baggio (Msf): Ospedali bersagli di guerra

Ucraina
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La guerra in Ucraina sta provocando morte e distruzione. Anche dell’impianto sanitario del Paese, che in molti casi non riesce più a far fronte alla domanda di salute e a quella di assistenza nell’emergenza-urgenza direttamente conseguenza del conflitto. Difficile comprendere dall’esterno la reale situazione in cui versano civili e militari rimasti, e quella di medici e infermieri che cercano di prestare soccorso all’interno di ospedali sempre più presi di mira dall’offensiva russa e sempre meno riforniti di farmaci e materiali sanitari. Fortune Italia ha chiesto informazioni di prima mano a Elda Baggio, neurochirurgo e vicepresidente di Medici Senza Frontiere Italia.

Dottoressa Baggio, quanto resta della sanità ucraina a un mese dall’inizio della guerra?
“Qualunque siano i tempi e l’esito del conflitto Russia-Ucraina, il Paese è stato aggredito e invaso e andrà in gran parte ricostruito. E con esso il tessuto dell’assistenza sanitaria. Auspico che ciò avvenga con l’aiuto degli europei, il che significherebbe che si sarà riusciti a raggiungere un accordo a garanzia di una tregua duratura. Se la Russia conquistasse l’Ucraina nessuno potrebbe fare niente, perché l’Ucraina non fa parte della Nato, e perché un’azione da parte dell’Occidente significherebbe allargare il conflitto. In alcune zone dell’Ucraina come Mariupol, Medici Senza Frontiere era già presente prima dello scoppio della guerra con una missione dedicata a pazienti affetti da Tubercolosi multi resistente, molto diffusa nel Paese e che richiede farmaci particolari. Diversamente da quelli per la Tbc ‘normale’ questi farmaci non sono ancora forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità e quindi non così facilmente disponibili in Ucraina. A questi malati, così come a quelli affetti da Hiv che stavamo assistendo, è stata data una scorta di farmaci. Purtroppo siamo stati costretti a chiudere le missioni che avevamo nel Paese per ragioni di sicurezza dei nostri operatori, che sono riusciti a essere evacuati con estrema difficoltà. Ricostruire Mariupol, come altre città pressoché completamente distrutte, significherà ripartire dalle fondamenta”.

Il personale sanitario rimasto in Ucraina come sta vivendo questa situazione?
“Gli ospedali, non solo ucraini, normalmente non sono abituati a lavorare in condizioni di ‘mass casualty’, cioè non son capaci a gestire l’arrivo improvviso di un elevato numero di feriti. Di solito si è abituati a prendere in carico i feriti cominciando da quello più grave e che richiede più risorse sanitarie e più tempo umano. In contesti di guerra il triage è inverso: i chirurghi sono pochi e i materiali scarseggiano e quindi si comincia da chi ha maggiore probabilità di sopravvivenza. Alcune delle nostre equipe sono entrate in Ucraina per aiutare gli ospedali a convertirsi a questo particolare triage. Abbiamo anche fornito tonnellate di materiali sanitari agli ospedali. Ma attualmente Msf fa fatica a entrare in Ucraina anche per ragioni di sicurezza delle proprie equipe. Siamo però presenti da Nord a Sud lungo il confine con Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Moldavia per supportare i rifugiati”.

Fino al momento in cui siete potuti rimanere in territorio ucraino, cosa è stato distrutto del sistema sanitario del Paese?
“Diversamente dalla tante parole di cui sono piene le convenzioni internazionali sulla necessità di risparmiare ospedali, medici e persone ferite, in questo conflitto gli ospedali sono diventati veri e propri bersagli di guerra. Nel momento in cui si priva la popolazione della possibilità di essere curata, si infligge un danno maggiore anche rispetto all’uccisione di tante persone. L’ospedale non è più un luogo sicuro già da tempo. A partire dal bombardamento eclatante del 2015 ai danni dell’ospedale di Kunduz in Afghanistan, gli attacchi alle strutture sanitarie si susseguono. Il famoso detto “Non sparate sulla Croce Rossa”, nato nel lontano 1935-36 a seguito dei bombardamenti di Mussolini proprio sui convogli umanitari della Cri, non vale più nulla. Perfino i civili sono diventati un target, come testimoniano gli attacchi alle persone in fila per il pane. Alla faccia della Quarta Convenzione di Ginevra, che stabilisce tra l’altro che essi devono essere lasciati liberi di allontanarsi dai teatri di guerra. Nei primi giorni del conflitto abbiamo visto persino sparare all’interno dei corridoi umanitari, che a Msf piace chiamare ‘corridoi sicuri’”.

Quali sono le principali emergenze sanitarie, dal vostro punto di osservazione privilegiato, per la popolazione rimasta in Ucraina?
“L’emergenza immediata è quella di chi è rimasto ferito dai bombardamenti o da armi da fuoco convenzionali, come a Mariupol, Odessa e Kiev. È un’emergenza che investe gli ospedali e i chirurghi e riguarda la possibilità di avere a disposizione materiale sanitario. A Mariupol, attualmente la situazione è drammatica perché è difficile arrivarci e praticamente impossibile rifornirla. Un treno carico di materiale sanitario è arrivato a Kiev, dove l’esercito ha distribuito farmaci e altro material agli ospedali, che devono riuscire a riceverlo per poter curare i feriti.
Un altro tipo di emergenza riguarda le cronicità. Penso ad esempio ai malati di diabete. Già due settimane fa l’insulina stava scarseggiando, soprattutto nelle zone di difficile accesso.
Naturalmente, a causa dell’emergenza passa in secondo piano l’assistenza sanitaria a tutte le ordinarie condizioni di cattiva salute intercorrenti.
Un aspetto positivo di questo tragico quadro riguarda il personale medico, che a quanto mi è dato sapere è rimasto in gran parte nel Paese”.

Quali sono le zone più critiche per quanto riguarda l’emergenza sanitaria?
“Oltre a Mariupol, Kiev e le cittadine intorno a quella zona. Adesso la situazione sta diventando critica anche a Odessa e nella regione circostante”.

Oltre all’assistenza che Msf sta portando ai rifugiati che passano il confine, avete ancora delle equipe in Ucraina?
“Sono entrate nel Paese due unità mobili che provenivano dall’isola greca di Samo. Il loro operato è diretto a dare assistenza medica alla popolazione locale che non può accedere agli ospedali. Ciò significa essere presenti per curare tutti, anche i soldati, a prescindere dallo schieramento di appartenenza. Il nostro mandato prevede il mantenimento della neutralità ‘politica’. Dobbiamo e vogliamo curare ‘amici’ e ‘nemici’”.

Quale supporto serve a Msf per la propria attività in Ucraina?
“Msf ha cinque centri operativi, a Gievra, Bruxelles, Amsterdam, Parigi e Barcellona. A Bordeaux abbiamo un magazzino da cui parte la buona parte dei materiali diretti alle zone di emergenza in tutto il mondo. La nostra necessità sono le donazioni economiche con le quali acquistiamo farmaci e altro materiale sanitario. E devono arrivare dai privati, giacché Msf non accetta donazioni dagli Stati. Nemmeno dall’Ue”.

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