Covid, rebus mascherine tra caso Cina e ‘liberi tutti’ del Nord Europa

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Mentre la scadenza del 1 maggio si avvicina, il governo è alle prese con il rebus mascherine. L’obbligo di indossarle al chiuso terminerà con la fine di aprile e ci si interroga su cosa fare. Questo mentre in Cina la politica ‘zero Covid’, dopo Shanghai – dove i palazzi sono stati chiusi da cancellate per tenere in casa gli abitanti – rischia di portare al lockdown di Pechino.

Approccio decisamente opposto nel Nord Europa (ma anche in Spagna): qui le mascherine (al chiuso o all’aperto) sono ormai un ricordo. E vengono ‘rispolverate’ – in alcuni Paesi – solo al momento di salire in aereo o, in taluni casi, sui mezzi pubblici (non è il caso dell’Olanda).

Considerata l’elevata circolazione del virus di Covid-19 in Italia, dal ministero della Salute si invita, ancora una volta, alla cautela. Quella sulle mascherine è una scelta che verrà fatta in settimana, “ascoltando la comunità scientifica. La mia opinione è che serve ancora un po’ di prudenza”, ha ribadito il ministro della Salute, Roberto Speranza, a margine del congresso di Articolo Uno. E questo a fronte, ieri, di 24.878 casi e 93 morti, con un tasso di positività schizzato al 17,9%, complice il weekend lungo. Così si dibatte se trasformare l’obbligo in una raccomandazione, o limitarsi a conservarlo solo in alcune situazioni a maggior rischio, dai mezzi pubblici ai luoghi di lavoro, fino ai teatri.

Dall’estero arrivano esempi opposti. Se l’approccio cinese lascia davvero interdetti, considerata la limitata pressione della variante Omicron sulle strutture sanitarie dei Paesi con molti vaccinati, chi ha avuto modo di viaggiare in Europa non può non interrogarsi sull’opportunità di mantenere le mascherine al chiuso in Italia, mentre dall’Europa arrivano liberamente e senza troppi controlli persone che nel loro Paese non le usano più da tempo.

“In Cina stanno cercando di portare avanti l’approccio Covid zero, a meno che non ci nascondano qualcosa”, dice a Fortune Italia il  virologo della Statale di Milano Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Istituto ortopedico Galeazzi di Milano. “Il fatto è che la variante Omicron ha un R0 di 14 rispetto al 7 della Delta e al 2.5 dell’originale di Wuhan. Insomma è un’infezione contagiosissima – spiega – dove il ruolo degli asintomatici è sempre più rilevante. Ecco perché è difficilissimo adottare l’opzione zero Covid, che in Cina hanno perseguito anche in modo brutale”. Insomma, fermare questa ondata nel gigante asiatico a suon di lockdown sembra una missione estremamente difficile, se non impossibile.

L’Europa, al contrario, “ha scelto un sistema di mitigazione: di spalmatura dei casi nel tempo, con indicazioni alla popolazione per la riduzione della frequenza dei contatti o delle situazioni a rischio. Tutto questo per rallentare la velocità del virus e allungare i tempi del contagio, evitando il rischio di saturazione dei servizi sanitari. Poi – continua Pregliasco – ci sono India, Brasile ed Europa dell’Est che hanno lasciato correre il virus, e stanno raccogliendo i cocci”.

Scelte diverse, talvolta opposte, a fronte del fatto “che non c’è un manuale per la gestione di Covid: stiamo imparando. A mio avviso l’elevatissima circolazione di Omicron giustifica anche nel futuro l’utilizzo della mascherina per i soggetti fragili e quelli che li assistono. E’ vero che questa infezione la faremo tutti, ma l’importante è spalmare i contagi nel tempo”.

Insomma, secondo Pregliasco l’approccio prudente, ancorché molto criticato, finora “ha pagato in termini di gestione. Siamo ancora in una fase di grande diffusione del virus e dobbiamo procedere per step, per non rischiare di compromettere i risultati ottenuti. Abbiamo visto quanto è costato in realtà il modello svedese o quello inglese. Quest’ultimo, se ben valutato in termini di mortalità standardizzata per età, vede l’Italia messa meglio, al di là dei numeri assoluti, che restano drammatici”.

C’è poi il caso delle reinfezioni di pazienti guariti: dal 24 agosto 2021 al 20 aprile 2022 in Italia sono stati segnalati 357.379 casi di reinfezione da Covid-19, pari a 3,2% del totale dei casi notificati. Ma, complice la variante Omicron, nell’ultima settimana la percentuale di reinfezioni sul totale dei casi segnalati è salita al 4,5%, segnala l’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità.

Si moltiplicano i racconti di persone costrette a fare i conti, più volte, con questo virus. Il rischio di reinfezione aumenta “nei soggetti con prima diagnosi di Covid-19 notificata da oltre 210 giorni rispetto a chi ha avuto la prima diagnosi fra i 90 e i 210 giorni precedenti; nei non vaccinati o vaccinati con almeno una dose da oltre 120 giorni rispetto ai vaccinati con almeno una dose entro i 120 giorni”.

Ma anche nei giovani e, un po’ a sorpresa, nelle donne. Quest’ultimo caso, secondo gli esperti Iss, può essere verosimilmente dovuto alla maggior presenza di donne in ambito scolastico, dove viene effettuata una intensa attività di screening. Ma anche al fatto che le donne svolgono più spesso la funzione di caregiver in ambito famigliare. Insomma, le donne si controllano di più e dunque si accorgono più spesso di aver contratto (di nuovo) il Coronavirus.

Un fenomeno interessante – quello sulle reinfezioni – di cui tener conto, al momento di prendere una decisione sulle mascherine.

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