Carcinoma uroteliale avanzato, nuova terapia in Italia

carcinoma vescica
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In Italia ogni anno si verificano più di 25.000 casi di tumori della vescica. Di questi oltre il 90% riguardano l’urotelio. Ebbene, dalla ricerca arrivano novità per la terapia del carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico. L’alleanza fra due big del farmaco, Merck e Pfizer, ha portato allo sviluppo della prima terapia di mantenimento nel carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico che ha dimostrato un efficace controllo della malattia.

Ora l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha ammesso alla rimborsabilità il medicinale avelumab, destinato al trattamento di mantenimento in prima linea di pazienti adulti affetti da carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico senza progressione dopo una chemioterapia a base di platino.

Il farmaco aveva ricevuto l’approvazione per questa indicazione dalla Fda americana nel luglio 2020 e dall’Ema (Agenzia europea dei medicinali) nel gennaio 2021.

Di cosa si tratta? Avelumab è la prima e unica immunoterapia ad avere dimostrato un beneficio significativo sulla sopravvivenza globale, con una condizione del paziente mantenuta o migliorata, grazie alla limitata tossicità del farmaco. “Il tumore della vescica è una malattia che interessa 313.600 soggetti in Italia (di cui l’80% uomini) – dichiara Roberto Iacovelli, dirigente medico presso l’Uoc Oncologia medica della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs – Nel 2021 questa neoplasia è stata diagnosticata in 25.500 persone e ha causato oltre 6.000 decessi”.

“Questo tumore si sviluppa inizialmente nel rivestimento interno della vescica (urotelio), e può successivamente diffondersi alla parete muscolare che la circonda e raggiungere i linfonodi, o altri organi come polmoni, fegato, ossa. Per questo motivo la diagnosi tempestiva è fondamentale, perché influenza la sopravvivenza futura, così come l’approccio terapeutico che, a seconda dello stadio del tumore, prevede interventi combinati tra chirurgia, chemioterapia, radioterapia e immunoterapia”.

Fino a ora, il trattamento standard di prima linea del carcinoma uroteliale in stadio avanzato era caratterizzato dalla sola chemioterapia a base di derivati del platino, generalmente per un massimo di 6 cicli. “Nei pazienti in cui si osservava almeno una stabilità della malattia al termine della chemioterapia, seguiva poi un periodo di osservazione clinica e strumentale per individuare precocemente la nuova progressione di malattia cui far seguire un nuovo trattamento, questa volta di seconda linea. Fino ad oggi – conclude Iacovelli – non vi erano evidenze scientifiche sufficienti per proporre una terapia farmacologica di mantenimento con l’intento di mantenere il risultato raggiunto dalla prima linea di chemioterapia, ritardare la progressione, e infine l’evoluzione della malattia”.

“Avelumab è un anticorpo monoclonale che si lega alla cosiddetta proteina checkpoint PD-L1, un target specifico che permette ad alcune cellule tumorali di eludere l’attività del sistema immunitario”, afferma Sergio Bracarda, direttore del Dipartimento di Oncologia e della S.C. di Oncologia medica e traslazionale dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni. “Il farmaco inattiva il PD-L1, presente sulla superficie delle cellule tumorali, bloccando questo effetto protettivo e consentendo al nostro sistema immunitario di combattere il tumore”.

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