Farmaci biologici, i numeri del sottotrattamento in Italia

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Esiste una specie di schermo invisibile, che ancora oggi impedisce in Italia l’accesso alle terapie innovative a un preoccupante numero di pazienti con malattie croniche reumatologiche, dermatologiche e gastroenterologiche di tipo autoimmune. Malati cronici per i quali questi medicinali possono fare la differenza, restituendo la possibilità di una vita normale e di essere produttivi sul lavoro. Riducendo il ricorso ai servizi sanitari.

A scoperchiare il vaso di Pandora del sottotrattamento è uno studio presentato oggi a Roma. E i numeri sono importanti: circa 130mila pazienti affetti da patologie autoimmuni di tipo reumatologico, gastroenterologico e dermatologica non accedono alle cure biologiche giudicate adeguate alla loro condizione clinica.

Un dato di rilievo, che va letto accanto a un altro: nel 2021 le 15 molecole biosimilari in commercio hanno assorbito il 43% dei consumi nazionali (35% nel 2020) contro il 57% (65% nel 2020) detenuto dai corrispondenti originatori. Complessivamente nell’arco del 2021 i prodotti biosimilari hanno registrato una crescita dei consumi del 26,9% rispetto ai dodici mesi precedenti, e questo mentre si è registrata una contrazione del 13,5% delle vendite di tutti gli altri farmaci biologici. L’impiego dei biosimilari è dunque aumentato, ma resta ancora uno zoccolo duro di pazienti che non ha accesso ai trattamenti con questo tipo di farmaci.

E’ quanto emerso nel corso del convegno ‘Accesso ai farmaci biologici: dal sottotrattamento al gain sharing‘, organizzato a oggi Roma dall’Italian Biosimilars Group di Egualia (associazione delle aziende produttrici di generici – equivalenti, biosimilari e Value added medicines), con la partecipazione delle società scientifiche Sir, Ig-Ibd e Sidemast, delle associazioni dei pazienti Apmarr, Anmar, Amici e Adipso e di rappresentanti del mondo istituzionale tra cui il responsabile della segreteria tecnica del ministro della Salute, Antonio Gaudioso.

“L’incontro di oggi vuole essere una sintesi di un percorso avviato quattro anni fa dalle aziende rappresentate dall’Italian Biosimilar Group di Egualia per quantificare ed evidenziare i fenomeni di sotto trattamento con farmaci biologici esistenti nel nostro Paese in tre grandi aree terapeutiche: reumatologia, gastroenterologia e dermatologia – ha commentato Stefano Collatina, coordinatore dell’Italian Biosimilars Group di Egualia, che ha commissionato gli studi – Utilizzando e analizzando grandissime quantità di dati abbiamo rilevato che il sottotrattamento esiste. Ora cosa facciamo? Un farmaco biologico oggi costa un quinto rispetto agli inizi, ma dobbiamo capire come favorire l’accesso. Dunque l’obiettivo di oggi è anche quello di trovare un percorso per ripartire”.

Punto di partenza del dibattito, le analisi realizzate da CliCon – Health, Economics & Outcome Research, società di ricerca guidata dall’economista Luca Degli Esposti, specializzata nella progettazione e nella realizzazione di progetti di outcomes research basati su database clinici e amministrativi.

“L’analisi – ha spiegato Luca Degli Esposti – è stata condotta su un campione rappresentativo e geograficamente distribuito di Asl con un numero di assistibili corrispondenti a circa l’11% della popolazione nazionale. In particolare, per la reumatologia, prendendo in considerazione il 2017 è stato stimato, proiettando i risultati su scala nazionale, un numero di pazienti affetti da artrite reumatoide pari a 320mila unità, di cui 43mila trattati con farmaci biologici. Ma almeno il 10% dei restanti 275mila – circa 27mila pazienti -presentano almeno uno dei criteri di eleggibilità previsti dalle linee guida scientifiche allo stesso trattamento”.

“Per la gastroenterologia, con la medesima metodologia di proiezione a livello nazionale -ha aggiunto-su circa 237mila diagnosi di morbo di Crohn o colite ulcerosa, sono circa 20mila i pazienti trattati con farmaci biologici (12% del totale) contro una quota di circa il 28% pazienti affetti dalle patologie considerate ritenuto idoneo per un trattamento con farmaci biologici, per un totale di circa 68mila pazienti” che però non lo ricevono.

“In campo dermatologico infine – ha aggiunto l’esperto sottolineando che si tratta di dati nuovissimi – su un totale di oltre 1.4 milioni di pazienti identificati con diagnosi di psoriasi, circa il 4% (56mila) è in trattamento con farmaci biologici e ce ne sono quasi altrettanti – circa 54mila – potenzialmente eleggibili allo stesso trattamento”. Ma che non hanno accesso a questi farmaci che possono cambiare la storia della loro malattia.

Perché? “La ricerca non ha indagato questo aspetto – ha risposto Degli Esposti a Fortune Italia – ma dal confronto con le società scientifiche emergono tre motivazioni principali: esistono barriere di natura economica, barriere di tipo organizzativo e altre di tipo possiamo dire di tipo formativo, legate alla familiarità dei medici sul territorio con queste terapie”.

In ogni caso un’ampia platea di pazienti ancora oggi non accede o accede con grave ritardo ad una categoria di medicinali capaci di rallentare o modificare l’evoluzione della malattia, garantendo una migliore qualità di vita e riducendo anche le ricadute economiche sul Ssn.

“L’analisi economica ha rivelato costi sostanzialmente sovrapponibili tra pazienti che fanno uso di farmaci biologici e pazienti che potrebbero farne ma non ne fanno uso – ha confermato Degli Esposti – a variare è però la composizione dei relativi costi: ad una maggiore spesa farmaceutica per i pazienti in trattamento con farmaci biologici si contrappone una maggiore spesa per ricoveri e prestazioni specialistiche nei pazienti che, pur eleggibili al biologico, non ne fanno uso”.

Di qui la proposta di un nuovo strumento di policy pensato per essere messo a disposizione delle amministrazioni sanitarie: il “gain sharing”. “È uno strumento che affianca ai tradizionali indicatori economici sull’utilizzo dei farmaci biologici a minor costo, un indicatore clinico in grado di misurare il numero di pazienti eleggibili all’uso del biologico per una specifica patologia, ma non trattati. La lettura combinata dei due indicatori – ha concluso Degli Esposti – permetterà di programmare ex ante il reinvestimento delle risorse liberate per contenere il fenomeno del sotto trattamento “.

Quanto alle associazioni dei pazienti, “chiediamo che le istituzioni lascino la libera scelta al medico che deve poter decidere che terapia prescrivere”, ha sottolineato Valeria Corazza (Apfiaco). Ma anche di “sganciare il tema dell’accesso da quello economico, guardando piuttosto all’organizzazione del percorso terapeutico”, ha evidenziato Salvo Leone (Amici). Tenendo presente che negli ultimi anni in tema di accesso “poco o nulla è cambiato, mentre queste terapie possono davvero cambiare la vita dei pazienti”, ha aggiunto Antonella Celano (Apmarr). “Alcune Regioni hanno fatto dei passi avanti, e penso che sia questa la strada giusta: partire dai Registri per avere un quadro certo dei pazienti per ogni patologia”, ha ribattuto Silvia Tonolo (Anmar).

“C’è un numero elevato di pazienti che potrebbero essere trattati con il farmaco biologico, e dunque c’è un notevole spazio per usare meglio biologici e biosimilari”, sottolinea Francesco Saverio Mennini, professore di Economia all’Università di Roma Tor Vergata e presidente Sitha. “In questo quadro l’impiego dei biosimilari potrebbe liberare risorse per ampliare ulteriormente l’accesso a terapie innovative ed efficaci”.

Un momento del confronto moderato da Annalisa Manduca

L’incontro si chiude con una serie di certezze. “In tutte le aree terapeutiche interessate i biosimilari hanno garantito l’accesso al trattamento a un numero sempre più ampio di pazienti, ma non è abbastanza visti i numeri che sono emersi da quattro anni di indagini – ha evidenziato Collatina –  Il risparmio generato dovrebbe consentire a più pazienti di essere trattati all’interno del budget esistente mentre, grazie agli accordi di gain sharing, gli ospedali ed i centri prescrittori potrebbero trattenere almeno parte del risparmio ottenuto grazie alla concorrenza generata dai farmaci biosimilari per destinarlo proprio ad incrementare l’accesso al trattamento nelle aree terapeutiche dove è stato generato e dove emergono evidenze di sotto trattamento. I relativi indicatori possono essere facilmente elaborati mediante una dashboard già messa a disposizione presso un campione di Aziende sanitarie locali, affiancando gli indicatori di monitoraggio della spesa. Il nostro obiettivo è quello di condividere i risultati ottenuti per far sì che questo strumento possa essere adottato a livello nazionale a beneficio di tutti i pazienti oggi non coinvolti nelle cure “.

“Per questo – ha aggiunto Collatina – vorremmo che l’Agenas e il ministero della Salute si facessero promotori di un osservatorio permanente di monitoraggio del fenomeno con le Regioni, affinché le best practices sul modello del gain sharing diventino la risposta concreta ai pazienti almeno in queste aree terapeutiche “.

I cinque biosimilari al top – Cinque le molecole protagoniste del sorpasso nelle vendite di biosimilare rispetto al biologicooriginatore.Primoi in classifica Filgrastim biosimilare (farmaco essenziale per i pazienti in chemioterapia citotossica)  , i cui biosimilari in commercio hanno assorbito il 96,54% del mercato della molecola a volumi, contro un residuale 3,46% ancora detenuto dall’originator.

Seguono gli anticorpi monoclonali Infliximab (93,42% del mercato a volumi) e Rituximab (93,08%), le Epoetine (91,34%) e Adalimumab (83,67%).

La geografia – In testa ai consumi sono Valle d’Aosta e Piemonte (82,4%). Seguono Marche(77,8%),Basilicata(70,9%),Sicilia (68,3%),Emilia-Romagna(67,1%),Toscana (66,5%). Fanalino di coda Lombardia (29,4%), Puglia (32%), Trentino-Alto Adige (44,1%). Da segnalare che tutte le Regioni hanno adottato delibere prescrittive che indirizzano verso il biologico a minor costo tranne Abruzzo ,Emilia e Liguria.

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