Lavorare e vivere con i robot: luci e ombre

iCub
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Vivere vicino a un robot. Capita già oggi per molti lavoratori e sempre più spesso capiterà in futuro, non solo nei luoghi di lavoro ma anche a casa. Questo assistente tecnologico potrà mai essere percepito come qualcosa di simil-umano? E soprattutto, questa prossimità fisica tra uomo e macchina potrà influire sul benessere psicologico della persona?

Viene da chiederselo, rileggendo i risultati di due diverse ricerche che mostrano come sia ancora molta la strada da fare per realizzare un’ottimale integrazione tra essere umano e tecnologia robotica e soprattutto come un robot antropomorfo possa essere considerato, in alcune circostanze, del tutto simile all’essere umano che vive al suo fianco.

Andiamo con ordine. A segnalare come la convivenza tra macchina e lavoratore in carne ed ossa possa rivelarsi in qualche modo poco idonea per la psiche umana è una curiosa ricerca che mostra come da un lato l’assunzione da parte del robot di ruoli pericolosi sul fronte della sicurezza abbia sicuramente significato un progresso per questo aspetto, ma rivela al contempo che lo stress sull’essere umano per il timore di perdere il proprio lavoro per la presenza di “vicino di banco” tecnologico possa rivelarsi negativo in termini di salute.

Lo studio è stato condotto dall’equipe di Osea Giuntella dell’Università di Pittsburgh ed è apparso su Labor Economics. Le conclusioni cui giunge fanno riflettere sulle effettive percezioni (di questo si parla), del valore dei robot industriali nei processi produttivi.

Esaminando i dati relativi ai soli luoghi di lavoro, infatti, appare chiarissimo il calo degli infortuni sul lavoro per l’uomo, con i robot che si accollano le attività maggiormente a rischio.

Ma si rileva anche come chi era maggiormente integrato in questa operatività uomo-macchina risultava maggiormente esposto a problemi di salute psicologica e a rischi legati a tossicodipendenze o abuso di alcolici. Sia chiaro: questi dati si riferiscono all’esperienza negli Usa.

In Germania non si assiste ad una situazione simile, probabilmente per una miglior rotazione delle mansioni tra dipendenti in carne ed ossa e robot. Rimane comunque un fatto: la percezione (solo di questo si tratta) negativa di questo “compagno di banco” tecnologico può rappresentare un elemento da tenere presente nella gestione dei processi produttivi. I risultati della ricerca portano alla luce come l’assunzione di lavori potenzialmente a rischio da parte del robot vada sempre accompagnata da un adeguato training sulle maestranze di un’azienda, per evitare che la percezione errata possa trasformarsi in una potenziale minaccia per il benessere psicologico del dipendente.

Trasferendoci nelle abitazioni e nella vita di ogni giorno, non ci sono dubbi che occorra ancora comprendere come convivere con un robot antropomorfo possa implicare una sorta di riconoscimento della sua “umanità”. Sul tema si concentra un’interessante analisi coordinata da Agnieszka Wykowska, ricercatrice principale presso l’Istituto Italiano di Tecnologia, pubblicata su Technology, Mind, and Behavior.

Lo studio, su poco meno di 120 persone, ha provato ad individuare in diversi esperimenti le reazioni delle persone dopo socializzazione e interazioni con iCub, robot antropomorfo. Dall’analisi dei risultati dei test emerge chiaramente come si possa arrivare a credere che l’intelligenza artificiale del robot possa arrivare ad avere un pensiero indipendente quando il comportamento riproduce quello umano.

Questa percezione diventa un valore da considerare nella progettazione degli “assistenti” robotici del futuro, soprattutto per gli anziani, con particolare attenzione al legame sociale che si potrebbe creare tra uomo e macchina intelligente che lo aiuta. E potrebbe diventare anche un grande vantaggio, soprattutto nei casi in cui c’è bisogno di facilitare alcune funzioni, come ad esempio l’assunzione regolare di farmaci che un anziano può dimenticare.

Insomma: sui segreti dei compagni di banco al lavoro o a casa dobbiamo ancora scoprire molto, in termini di psicologia e non certo di possibili azioni. E’ un impegno per la scienza, per la psicologia e per chi mette a punto i robot di oggi e di domani.

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