Stress, ecco quando diventa un alleato sul lavoro

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Ciò che non uccide rende più forti. E allora, anche se è difficile parlare di stress in un momento di vacanza come quello che stiamo vivendo, abbiamo vissuto o ci apprestiamo ad affrontare, ricordiamoci che allenarsi a sostenere tensioni in ambito professionali potrebbe diventare una strategia ottimale per essere più resilienti in appuntamenti futuri.

L’elogio della tensione emotiva occasionale “a bassa intensità” come strumento di crescita professionale alla stregua di un vero e proprio “vaccino” protettivo viene da una ricerca apparsa su Psychiatry Research, condotta da un’equipe dell’Università della Georgia coordinata da Assaf Oshri, in collaborazione con ricercatori dell’Università di Stanford.

L’indagine, che ha coinvolto una popolazione di giovani, sembra dimostrare una sorta di azione di “training” dello stress a basso o moderato impatto, che diventerebbe il sale per affrontare al meglio incontri professionali in futuro, anche modulando in modo ottimale le proprie reazioni di fronte all’interlocutore.

Insomma: chi dice che lo stress (ovviamente se non diventa cronico e si trasforma in una sorta di “spada di Damocle” che pende ogni giorno sul nostro capo) sia sempre e comunque negativo, forse potrebbe avere una visione eccessivamente pessimistica.

Il problema, semmai, è capire quando si supera la soglia che rende la tensione emotiva negativa per l’organismo e non un valido motore di cambiamento e apprendimento di nuove strategie. Ecco, su questo punto, gli studiosi americani ricordano come il margine sia davvero molto sottile e si possa superare senza nemmeno accorgersene.

Occorre quindi mantenere elevati i livelli di percezione del benessere emotivo. Altrimenti capita che la “scorza” diventi troppo dura e che non si percepiscano le piccole lesioni che si creano, facendo crepare la struttura psicologica del soggetto. Magari senza che nemmeno il protagonista si accorga che qualcosa si sta alterando nel suo meccanismo di reazione e di capacità di adattamento al sistema in cui opera.

Venendo allo studio, gli esperti hanno preso in esame i dati relativi a 1.200 giovani adulti raccolti nell’ambito del progetto Human Connectome Project. Tutti i partecipanti hanno riportato i livelli di stress percepiti utilizzando un questionario su misura, oltre ad una valutazione delle capacità neurocognitive misurate con test di attenzione, flessibilità, capacità di passare da una tematica all’altra, memoria visiva e di lavoro, capacità di elaborazione.

Confrontando queste osservazioni con i risultati dei test neuropsicologici e quindi con valutazioni indirette dei livelli di ansia, aggressività e altre tendenze comportamentali ed emotive, gli esperti hanno notato come possa avere valore una sottile ma presente “stimolazione” stressante per indurre risposte ottimali di fronte a tensione professionali. In pratica, proprio come accade con il vaccino.

Somministrando piccole dosi controllate di “antigene” , in questo caso appunto lo stress, ci si può aspettare una risposta efficace di fronte ad eventuali stimoli futuri, perché il corpo ha già conosciuto la situazione ed è più pronto ad affrontarla in chiave psicologica. Per questo, fatte salve le variabilità personali, lo stress a bassa intensità può diventare positivo in un percorso di sviluppo.

Ma è importante che questo stimolo venga affrontato all’interno di un ambiente che sostiene, professionalmente e psicologicamente, chi si trova a sostenerlo. Altrimenti si rischia che la percezione di tensione emotiva, ovviamente soggettiva, cresca. E che la risposta del corpo non sia quella di un adattamento in chiave positiva ma piuttosto quella di esaurimento.

Per chiudere con un detto, non dimentichiamo che il “troppo stroppia”. Occorre sempre ricordare che, per essere positivo, lo stress deve avere una durata limitata ed essere sostenibile. Altrimenti diventa un problema.

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