Epilessia a scuola: cosa fare (e cosa no)

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Sono oltre 500 mila gli italiani che soffrono di epilessia. Nel mondo, il numero sale a 65 milioni. E i più colpiti sono i bambini e gli adolescenti; alle loro crisi però gli insegnanti spesso non sono in grado di reagire. A dircelo è un’indagine sull’epilessia a scuola.

Quasi la metà degli insegnanti italiani ha o ha avuto nella propria classe un bambino con epilessia. Eppure, più di 1 docente su 2, il 64% del totale, non saprebbe comportarsi in modo corretto nel caso in cui uno studente avesse una crisi in aula.

E’ quanto riporta la recente indagine della Lice (Lega italiana contro l’epilessia), che in occasione del ritorno a scuola per oltre 8 milioni di studenti ha tenuto a ricordare quanto sia importante sapere cosa fare ma anche cosa non fare: “Vietato tirare fuori la lingua”, dicono gli esperti. E vietato escludere o far sentire sbagliato chi, giovanissimo, convive con questa patologia.

“Un personale adeguatamente formato “, ha spiegato la Prof.ssa Laura Tassi, presidente della Lice, “sarebbe in grado di assistere in maniera adeguata ed efficace un’eventuale crisi che dovesse manifestarsi in classe e, all’occorrenza, somministrare i farmaci salvavita ai bambini e ai ragazzi che vivono con l’epilessia. Si tratta di rafforzare un percorso virtuoso ancora poco efficace, che vede una collaborazione più stretta tra epilettologo, famiglia e insegnanti. Non c’è l’obbligo, infatti, da parte del personale scolastico di somministrare farmaci, ma solo una raccomandazione confermata dalle linee guida adottate a livello nazionale e regionale”.

Sempre secondo il monitoraggio della Lice, solo nei 2/3 dei casi la scuola è informata dalla famiglia sulle crisi epilettiche di un bambino. A riprova della difficoltà dei genitori nel parlare della malattia.

“Esistono e sopravvivono ancora troppi falsi miti e luoghi comuni legati all’epilessia e alle crisi epilettiche” ha sottolineato Oriano Mecarelli, Past President Lice, “soprattutto su cosa fare quando si assiste ad una crisi convulsiva. Ma anche sulle presunte conseguenze che questa condizione avrebbe sulle capacità cognitive di un bambino. Questa condizione, infatti, risente moltissimo dei pregiudizi e delle paure degli altri ed è ancora diffusa, per esempio, l’idea che l’epilessia riduca la capacità di apprendimento, che il bambino necessiti di un supporto scolastico, che possa avere disturbi del comportamento o problemi di relazione con gli altri bambini. Nella maggior parte dei casi non è così. Tranne che nelle forme più gravi, l’epilessia non incide sulle capacità di apprendimento o su quelle relazionali, ed il bambino può prendere parte a tutte le attività che vengono svolte in classe e fuori classe”.

 Che cosa fare in caso di crisi a scuola?

Il 90% delle crisi dura meno di 2 minuti. In alcuni casi possono durare di più ma solo molto raramente è necessaria un’assistenza medica urgente e il ricovero ospedaliero.

Chiamare un’ambulanza non è quasi mai necessario, mentre la priorità per chi assiste ad un episodio convulsivo è quella di non commettere errori nei soccorsi.

La maggior parte degli episodi non necessita di manovre particolari, ma solo della vicinanza al bambino durante l’episodio critico e subito dopo, in attesa che si riprenda. La classe va tranquillizzata ed invitata a prendersi cura del compagno insieme all’insegnante.

Nei casi invece in cui le crisi comportino una caduta a terra, rigidità, scosse agli arti e forte salivazione, introdurre, per esempio, le mani o un oggetto nella bocca non è una manovra consigliabile né tantomeno utile, ed è anzi pericolosa sia per chi la pratica che per chi la subisce.

È un falso mito, dunque, quello che bisogni afferrare la lingua ed estrarla dalla bocca: pena la sua discesa verso le cavità aeree rendendo così impossibile il respiro.

È anche sbagliato trattenere o cercare di immobilizzare il bambino, pensando di arrestare o di rendere la crisi meno forte. È invece consigliabile mettere qualcosa di morbido sotto il capo per evitare eventuali contusioni, togliere gli occhiali, slacciare vestiti stretti e girare il paziente su un fianco appena possibile per facilitare la respirazione e la fuoriuscita della saliva.

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