Microbiota, le nuove frontiere della ricerca

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In principio i milioni di batteri che abitano nel nostro intestino erano chiamati microflore: il termine microbiota si inizia ad usare negli anni ’50, ma da allora ha conquistato l’interesse di ricercatori e clinici, oltre che dei lettori: digitandolo su Google arrivano 144 milioni di risultati.

Ai segreti del microbiota è dedicato un incontro organizzato dalla Fondazione Policlinico Campus Bio-Medico al Centro Studi Americani di Roma, che ha riunito esperti del settore per fare il punto su quanto sappiamo e quanto dobbiamo ancora capire su questo “ecosistema di ecosistemi”, come l’ha definito Vincenzo Romano Spica, direttore del Laboratorio di Epidemiologia e biotecnologie dell’Università del Foro Italico.

Un momento dell’incontro al Centro Studi Americani con Gianni Rezza

Un mondo di domande

“La ricerca su microbiota e microbioma è estremamente interessante, perchè può aprore nuove frontiere – sottolinea a Fortune Italia il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza – L’innovazione tecnologica ci ha permesso di studiare in modo approfondito questi aspetti: con l’Ngs e la metagenomica è possibile sequenziare tutto quello che c’è in un campione e caratterizzare il microbiota. Si è visto così che, a seconda delle caratteristiche del microbiota, si ha una salute migliore o peggiore, e ci sono varie ipotesi sul coinvolgimento della disbiosi”, ovvero un’alterazione del microbiota, “in diverse patologie, in particolari quelle croniche, autoimmuni e tumori. Anche se tutto questo richiede ulteriori verifiche. Ma già iniziamo ad avere delle applicazioni pratiche, come il trapianto di feci“. Dal momento che stiamo andando verso “una medicina personalizzata di massa – riflette l’esperto – lo studio del microbiota è cruciale”.

Questione di collaborazioni (e di mercato)

“In ricerca è importante collaborare, non si può essere solisti. Lo ha dimostrato anche lo studio del microbiota”, ha spiegato Paolo Sormani, Ad e Dg del Campus Bio-Medico, citando la collaborazione con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e la Fondazione Policlinico Gemelli su questo tema. Il settore attira anche l’interesse delle imprese, “basti pensare che il mercato degli integratori probiotici nel 2021 si aggirava sui 6 mld di euro a livello globale”.

Se l’attenzione per la salute è aumentata con la pandemia, “uno dei rischi è quello di affidarsi al ‘dottor Google’, primario ospedaliero senza aver preso la laurea – ha ammonito Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma – Ecco perché, anche su questi temi, è importante rivolgersi a fonti attendibili, e chiedere il consiglio del medico e del farmacista”.

Il microbiota ci parla

Quando affrontiamo questi temi pensiamo all’intestino, il nostro ‘secondo cervello’. “Ma non c’è solo un microbiota: abbiamo quello polmonare, quello dell’occhio, il contesto è ampio. E oggi – ha ricordato Spica – sappiamo che il microbiota può essere influenzato da stress, alimentazione, stile di vita, ambiente in cui viviamo, attività fisica, persino al momento della nascita (parto spontaneo o cesareo)”.

Il microbiota “è un ecosistema, e la chiave per ‘leggerlo’ è nel suo insieme”, ha detto l’esperto. Tra l’altro il rapporto con l’organismo è complesso: non subiamo il microbiota, ma possiamo regolarlo (non solo con i probiotici). Spica ha presentato un recente studio che mostra come i batteri che abitano nel nostro organismo ‘parlano’ con l’ospite: se aumenta una particolare proteina (S100B), cresce la biodiversità del microbiota. E questa, come abbiamo appreso, è decisamente una cosa buona.

Da micro a macro

“Non dovremmo parlare di microbiota ma di macrobiota, per via della ricca presenza di germi” all’interno del nostro organismo, ha sottolineato Lorenza Putignani, ricercatrice dell’Irccs Bambino Gesù, che insieme a Gianluca Ianiro dell’Università Cattolica ha fatto il punto sul trapianto di feci. Una soluzione che ha visto impegnato anche il pharma, con il recente disco verde in Usa del primo farmaco a base di microbiota fetale. 

“Dalla mappa del microbiota si possono generare algoritmi utili per la decisione clinica, dalla dieta alla somministrazione di probiotici, fino al trapianto fecale”, ha sottolineato la ricercatrice. Questa tecnica, efficace per contrastare l’infezione da C. difficile, è effettuata in pochi centri e viene studiata a livello sperimentale per il trattamento di una serie di patologie; fra le frontiere di interesse c’è anche l‘autismo.  

Questione di dieta (indovinate quale?)

Se nel nostro intestino abitano circa “2 milioni di germi di mille specie”, a fare la differenza è anche la dieta. Ne ha parlato Sara Emerenziani, responsabile della Uos Nutrizione clinica del Campus Bio-Medico. “Il digiuno provoca sintomi addominali, e con la nutrizione artificiale il microbiota si impoverisce”.

Ma qual è la dieta amica del microbiota? “Deve essere equilibrata – ha detto la specialista – dobbiamo passare dal singolo alimento al pattern dietetico. Ma la risposta è semplice: la dieta mediterranea“. Ricca di fibre, frutta, verdura, alimenti pre e probiotici, è povera dei cibi  che decisamente non sono amici del microbiota (junck food, grassi e zuccheri).

Quando iniziare a curare la propria alimentazione? “Fin dalla gravidanza”, ha raccomandato Emerenziani. Perché siamo quello che mangiamo, ma anche quello che ha mangiato la nostra mamma. Abbiamo appena iniziato a comprendere i misteri del microbiota, ma è chiaro che la sua importanza non potrà che crescere.

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