Robot, la prima impressione fa la differenza

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Quanto conta il viso di chi incontriamo sull’opinione che ci facciamo della persona? E come è importante quel meccanismo di empatia che si accende se esiste un feeling immediato, che spesso dipende proprio dalle caratteristiche dell’interlocutore? Se vi ritrovate a rispondere positivamente a queste due affermazioni, e quindi vi affidate molto al primo sguardo per giudicare il potenziale futuro di un rapporto professionale, di amicizia o di altro tipo, probabilmente dovreste riavvolgere il nastro e pensare a quale potrebbe essere la vostra reazione di fronte a un robot.

Se è vero, come dicono che gli studi, che sempre di più i robot diverranno strumenti non solo per il lavoro ma anche per la didattica o comunque come “trainer” intelligenti per il mantenimento del benessere, anche la loro capacità di “incontrare” l’utente e le aspettative che esso ripone nell’assistente tecnologico giocheranno un ruolo importante.

Al punto che la stessa immagine del robot può diventare una discriminante per il giudizio che avremo sul dispositivo. A lanciare questa provocazione, probabilmente anche di stimolo per il futuro, è una ricerca degli esperti dell’Università di Cambridge (Micol Spitale, Minja Axelsson, Hatice Gunes), che hanno utilizzato e messo a confronto due diversi istruttori di benessere robotici.

Questi strumenti sono stati proposti a una serie di dipendenti, con i robot che hanno fatto da “docenti” per quasi un mese. I corsi hanno previsto robot con voci, espressioni facciali e copioni identici per le sessioni, ma c’era una differenza sul fronte dell’immagine di presentazione del robot.

E purtroppo, come accade per gli umani, le aspettative riposte nell’interlocutore dipendono molto anche dalla modalità fisica di presentazione. Tanto che l’aspetto fisico dei robot ha influito sul modo in cui i partecipanti hanno interagito con esso.
Fondamentalmente, due sono stati i “modelli” estetici di presentazione del robot.

In un caso di è trattato di una copia umanoide che riproduceva con cura le sembianze umane, nell’altro di una sorta di giocattolo. Ebbene, questa seconda modalità di presentazione, a prescindere dal modo di relazionarsi con il robot e dalle identiche prestazioni degli strumenti, si è rivelata maggiormente gradita l’immagine del gioco rispetto a quella del dispositivo con sembianze simili a quelle umane.

E chi ha svolto gli esercizi di benessere con un robot simile a un giocattolo ha affermato di aver sentito più una connessione con il loro “allenatore” rispetto ai partecipanti che hanno lavorato con un robot simile a un umanoide.

A creare “confusione”, e quindi a rendere delusi delle prestazioni dell’assistente simile all’uomo i partecipanti sarebbe l’aspettativa che si crea. E così, visto che il robot giocattolo è più semplice, si tende a chiedere meno a questo dispositivo e ci si accontenta più facilmente.

Al robot umanoide, magari inconsciamente, si tende a chiedere di più. E quindi è più facile trovarsi delusi anche perché l’interazione, al momento, può essere ancora complessa.

Rimane comunque una certezza. Come emerso alla recente Conferenza internazionale ACM/IEEE sull’interazione uomo-robot tenutasi a Stoccolma, in occasione della presentazione dello studio, queste modalità di comunicazione/apprendimento con assistente robotico possono rivelarsi estremamente utili per diffondere l’attenzione e la cultura del benessere sul posto di lavoro.

Quello che poi sarà lo strumento ottimale per la formazione, lo vedremo nel tempo. Ricordando che, a prescindere dalla programmazione di voce espressioni e simili, anche le caratteristiche dell’assistente robotico contano per definire le aspettative e le richieste dell’utenza.

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