Baldini (Janssen): ‘Mi batto per portare più studi clinici in Italia’

Alessandra Bladini Janssen Fortune
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Non c’è innovazione senza ricerca. Ma, soprattutto, grazie all’investimento in ricerca e agli studi clinici, le persone possono avere accesso alle ultime novità sul fronte delle terapie. Per questo una delle priorità di Alessandra Baldini, da meno di un anno direttore medico di Janssen Italia (gruppo Johnson&Johnson) dopo una lunga carriera all’estero, è proprio quella di “portare in Italia più studi clinici“.

Baldini, 54 anni, biologa, è rientrata in Italia nel settembre 2022, dopo un’esperienza di 16 anni nel gruppo J&J, tra Europa, Emerging markets e Southeast Asia. Janssen “è presente nell’area onco-ematologica da più di 30 anni”, ma in realtà la “nostra azienda – sottolinea la scienziata – si sente come una startup di 137 anni, avendo conservato uno spirito pionieristico in diversi ambiti terapeutici”.

Baldini ricorda la recente approvazione in Italia dell’anticorpo bispecifico per la cura del tumore al polmone (amivantamab, indicato nel trattamento di adulti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (Nsclc) avanzato, ndr). “Sulle nostre sei aree terapeutiche solo nel 2022 abbiamo investito 10 mld di euro in R&S, pari al 22% dei nostri ricavi. Vogliamo presidiare queste aree terapeutiche, e negli ultimi anni stiamo avendo una forte accelerazione nell’onco-ematologia”, dai tumori solidi a quelli del sangue. 

Medicina di precisione sempre più tech

Investire in ricerca è importante. Oggi la pipeline di Janssen è molto ricca. “Abbiamo attualmente molte nuove molecole  in fase di sviluppo. Da qui al 2030 speriamo di renderne fruibili almeno 14. La tecnologia ci aiuta, ma sempre di più dobbiamo costruire soluzioni mirate. Stiamo entrando nell’era della medicina di precisione – dice il direttore medico – anche se i clinici preferiscono parlare di medicina personalizzata: si identifica un marker specifico e si cerca di costruire una soluzione terapeutica mirata. Questo aumenta l’efficacia, minimizzando gli effetti collaterali. E’ vero: parliamo di terapie limitate a una proporzione di pazienti, che però saranno curati al meglio. La direzione è segnata: noi stiamo lavorando molto con questo approccio”.

Discorso simile per la terapia genica, “dove si identifica il gene mutato e lo si va sostituire. Stiamo studiando questo approccio in malattie rare e altamente invalidanti, come ad esempio una malattia rarissima legata al cromosoma X: la retinite pigmentosa. Una patologia che si diagnostica anche nei ragazzi e conduce a cecità”.

Di che numeri parliamo per i vostri studi clinici in Italia? Attualmente “abbiamo 97 studi clinici attivi nel nostro Paese sulle nostre aree terapeutiche – precisa – solo in oncoematologia parliamo di oltre 1.500 pazienti“. Che, dunque, hanno accesso ad approcci davvero innovativi.

La pipeline ‘targata’ Janssen è molto ampia, va dal tumore della prostata a quello della vescica sino al colon retto, a quello del polmone e alle malattie ematologiche. Nel mirino degli scienziati anche le mutazioni dei “geni Jolie”, i BRCA1 e BRCA2, così ribattezzati da quando l’attrice Angelina Jolie annunciò una doppia mastectomia preventiva, dopo aver scoperto le mutazioni che predisponeva a sviluppare il cancro al seno e all’utero.

Medicina e intelligenza artificiale

Baldini è convinta che in futuro sarà prezioso, nella progettazione degli studi clinici, il contributo dell’intelligenza artificiale. “Tutte le innovazioni sono guardate con un po’ di timore e sospetto, il mio animo da ricercatrice però mi porta ad avere un approccio caratterizzato da entusiasmo e curiosità. L‘AI va conosciuta e poi gestita, ma potrà dare un’accelerazione enorme alla ricerca, riducendo i costi e i tempi delle sperimentazioni”, prevede.

Un domani dal dataset relativo a ciascun paziente l’AI potrà creare algoritmi in grado di prevedere la risposta alle terapie. “Siamo agli albori di quello che chiamiamo il paziente sintetico“, afferma il direttore medico Janssen. Certo, non mancano le insidie. “Occorre creare un contesto regolatorio in grado di permetterci di sfruttare al meglio la tecnologia”, sottolinea.

La sfida per l’Italia

In questo quadro, il nostro Paese è ai primi posti per produzione farmaceutica in Europa. Ma saprà mantenere le sue promesse nello scenario globale? “Bella domanda. Ecco, noi abbiamo una situazione demografica peculiare e sotto numerosi aspetti scontiamo una sorta di gap. Ma credo anche che sia nostra responsabilità dare un contributo per modificare il sistema, cambiando le cose che per noi non funzionano. Soprattutto sono convinta – sottolinea – che il reale cambiamento possa avvenire solo con le nuove generazioni. Ecco perchè con il progetto ‘Fattore J’ vogliamo avvicinare i giovani delle scuole superiori italiane alla scienza, spiegando l’importanza della fiducia nell’innovazione e nella ricerca. Cerchiamo di contribuire a creare i ricercatori del futuro. Ma non c’è dubbio: il futuro è in mano a loro. E il fatto di parlare di certi temi, di coinvolgere i giovani, è importante. I nostri ragazzi vengono spesso denigrati, ma questo accade perché non li ascoltiamo: hanno la voglia, l’entusiasmo, l’energia e gli strumenti per innescare davvero il cambiamento. Dobbiamo farli crescere e credere nelle loro potenzialità“, conclude Baldini.

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