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Labiopalatoschisi, una soluzione dalle cellule staminali

Bambino Gesù
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Dalle staminali, ‘cellule bambine’ dalle straordinarie capacità trasformative, un nuovo approccio per il trattamento di una malattia ‘antica’: la labiopalatoschisi, meglio nota come labbro leporino. Questa  malformazione congenita – che si presenta con un’interruzione che coinvolge labbro superiore, gengiva e palato – in Italia colpisce 600 neonati all’anno, un quinto dei quali seguiti al Bambino Gesù di Roma.

La novità arriva dal Bambino Gesù: l’ospedale pediatrico della Capitale sta mettendo a punto l’utilizzo delle  staminali autologhe (cioè dello stesso paziente), per la ricostruzione ingegnerizzata del palato, di cui si è parlato sabato scorso presso la sede di San Paolo Fuori le Mura dell’Ospedale, all’Open Day dedicato a questa patologia.

I numeri

La labiopalatoschisi è la più comune anomalia congenita del cranio e del volto; nella maggior parte dei casi la labiopalatoschisi è monolaterale (destra o sinistra) e in un terzo è bilaterale. Le cause sono sconosciute e, secondo gli specialisti, dovrebbero essere legate a una combinazione di fattori genetici e ambientali.

In caso di labiopalatoschisi completa, il protocollo del Bambino Gesù prevede un unico intervento a 6 mesi in cui si ricostruiscono il labbro, il naso, il palato anteriore (duro) e il palato posteriore (molle). Ogni anno al Bambino Gesù vengono presi in cura circa 120 nuovi casi e altrettanti giovani pazienti che hanno iniziato il trattamento in altri ospedali. Il 64% dei nuovi casi proviene da fuori regione. Attualmente sono seguiti in follow-up oltre 2.000 bambini e ragazzi colpiti da questa malformazione.

Palato ingegnerizzato

L’ultima frontiera consiste nell’utilizzo di cellule staminali autologhe per la ricostruzione del palato duro del piccolo paziente. Oggi l’intervento ricostruttivo viene effettuato utilizzando un innesto di periostio tibiale prelevato dalla tibia, mentre con la nuova tecnica invece il palato duro verrebbe realizzato facendo crescere le cellule staminali del paziente su un apposito supporto (scaffold), prima di impiantarlo.

I vantaggi sono molteplici: si eviterebbe di prelevare il tessuto necessario alla ricostruzione del palato da un’altra parte del corpo. Ottenendo oltretutto materiale perfettamente compatibile. La sperimentazione, fanno sapere dal Bambino Gesù, ha già superato la fase in vitro e si sta attualmente lavorando per la fase successiva. I risultati dsono descritti su Scientific Reports.

“Grazie ai progressi della medicina, oggi un bambino che nasce con labiopalatoschisi raggiunge quasi sempre una ottima qualità di vita – spiega il dottor Mario Zama, responsabile dell’unità operativa complessa di chirurgia plastica e maxillofacciale del Bambino Gesù – Per alcuni però anche la piccola cicatrice che resta tra il labbro e il naso rappresenta un ricordo costante della malattia, come se non fossero mai guariti del tutto. Per questo motivo è fondamentale il rapporto con le famiglie e il lavoro svolto dalle associazioni genitoriali. È il modo più efficace per non farli sentire soli, per testimoniare che si è parte di una più ampia famiglia acquisita in cui tutti condividono la stessa esperienza di vita”.

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