La pizza di Pompei promossa, ecco perché

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Una scoperta – letteralmente – servita su un piatto d’argento, quella appena arrivata dagli scavi di Pompei. Sembra proprio una pizza – di quelle bianche, stile focaccia – quella che campeggia su un vassoio dipinto su una parete di 2000 anni fa, messa in luce dai nuovi scavi nell’insula 10 della Regio IX a Pompei che, come sempre in questi casi, ha fatto il giro del mondo.

Ma quella raffigurata sulla parete antica è davvero una archeo pizza? “Possiamo dire che si tratta di una proto pizza: il concetto di fondo, infatti, è quello. Cucinavano la farina e la guarnivano con della frutta, come poi ha fatto qualcuno anche dopo, per assicurare un contrasto di gusto, ma anche vitamine ed energia”. Parola di Giorgio Calabrese, medico dietologo e nutrizionista clinico, presidente del Comitato nazionale sicurezza alimentare, che parlando con Fortune Italia allude con un sorriso alla celeberrima (e tanto detestata nella Penisola) pizza all’ananas.

“La scoperta di Pompei ci permette di capire meglio come si nutrivano gli antichi”, aggiunge Calabrese. “Sappiamo che all’epoca, tra le guerre e le condizioni di vita, le persone non superavano spesso i 40 anni. Dunque avevano bisogno di energia di pronta presa: come ci mostrano questi scavi, ma anche i ritrovamenti in altri siti archeologici, esistevano forni in cui realizzavano questi alimenti. Questo mi fa pensare che la pizza fosse scritta nel nostro Dna: l’abbiamo reinventata, ma esisteva già”.

Dalla proto pizza alla versione con l’ananas

Ma com’era la pizza degli antichi? Mancavano – per ragioni storiche – alcuni degli ingredienti chiave della ‘regina’ della pizza: pomodori e mozzarella. Nell’affresco con natura morta, hanno spiegato gli archeologi del Parco Archeologico di Pompei, accanto a un calice di vino, posato su un vassoio di argento, si vede una focaccia di forma piatta sormontata da alcuni frutti (un melograno e forse un dattero), condita con spezie o una sorta di pesto (moretum in latino). Della frutta secca e una ghirlanda di corbezzoli gialli colmano il vassoio in argento.

Sono gli xenia, i doni che nell’antichità si offrivano agli ospiti. Visivamente il mix ricorda in modo straordinario la pizza all’ananas ‘made in Us’, tanto stigmatizzata nella Penisola ma ormai diffusa nelle pizzerie di tutto il mondo.

“Ho il sospetto che quello che hanno scoperto a Pompei sia in effetti un antenato della pizza”, dice insomma Calabrese.

“Oltre all’identificazione precisa dei cibi – ha spiegato il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel – ritroviamo in questo affresco alcuni temi della tradizione ellenistica, elaborata poi da autori di epoca romana-imperiale come Virgilio, Marziale e Filostrato. Penso al contrasto tra un pasto frugale e semplice, che rimanda a una sfera tra il bucolico e il sacro, da un lato, e il lusso dei vassoi d’argento dall’altro. Come non pensare alla pizza, anch’essa nata come un piatto ‘povero’ nell’Italia meridionale, che ormai ha conquistato il mondo e viene servito anche in ristoranti stellati”.

Forse non è un caso che l’affresco con la proto pizza sia stato rinvenuto nell’atrio di una casa dell’Insula 10 della Regio IX a cui era annesso un panificio, già esplorato in parte tra il 1888 ed il 1891, le cui indagini sono state riprese a gennaio scorso. Negli ambienti di lavorazione vicini al forno, nelle settimane passate, sono stati rinvenuti gli scheletri di tre vittime.

Scavi nel Parco Archeologico di Pompei

 

“Pompei non finisce mai di stupire – ha detto il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano – Al di là della questione di merito su cui parleranno gli studiosi, va sottolineato il valore globale di questo sito al quale stiamo dedicando le nostre cure, con la chiusura del Grande Progetto Pompei ma anche con l’avvio di nuove iniziative. La tutela e lo sviluppo del patrimonio, in ossequio all’art. 9 della Costituzione, sono una priorità assoluta”.

pizza

Il valore della pizza moderna

Dalle tavole di Pompei a quelle dei giorni nostri, in duemila anni “la pizza è arrivata a valere 15 miliardi di euro – dice Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti a Fortune Italia – diventando il simbolo del successo della dieta mediterranea nel mondo, ma anche motore di turismo e cultura. Il rinvenimento di questo affresco nell’ambito dei nuovi scavi a Pompei che raffigurerebbe una pizza o almeno un lontano antenato della pietanza moderna, mostra come questo prodotto sia radicato nella nostra tradizione. Bisogna continuare lavorare perché la pizza italiana sia sempre di più ambasciatrice dell’eccellenza agroalimentare del nostro Paese, in Italia e all’estero”.

Ogni giorno solo in Italia – ricorda la Coldiretti – si sfornano circa 8 milioni di pizze grazie all’utilizzo durante tutto l’anno di 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro. Il tutto grazie al lavoro di oltre 100.000 addetti a tempo pieno, che diventano 200.000 nel weekend. “La pizza – continua Bazzana – rappresenta oggi un tesoro dell’Italia dove cultura e cibo sono diventate le principali leve di attrazione turistica, strategiche per il rilancio dell’economia e dell’occupazione. Non a caso oltre un terzo della spesa delle vacanze nell’estate 2023 sarà destinato alla tavola per consumare pasti in ristoranti, pizzerie, trattorie o agriturismi, ma anche per cibo di strada o souvenir enogastronomici in mercati, feste e sagre di Paese”.

Quanto all’alimento che il mondo ci invidia, patrimonio dell’umanità dal 2017 in quanto “arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano”, la Margherita si conferma ‘regina’ anche per Calabrese. “Buona farina, salsa di pomodoro, un filo di olio extravergine, un po’ di basilico e la mozzarella. E’ un po’ come lo spaghetto al pomodoro, ebbene oggi scopriamo che nell’antichità ragionavano allo stesso modo”.

Ecco forse perché la pizza è arrivata a valere 15 miliardi di euro, diventando simbolo del successo della dieta mediterranea. Dalla proto pizza – bianca con frutta e vegetali – sono passati oltre due millenni, e si sente.

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