Obesità e diabete, le novità dal Congresso americano Ada

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A San Diego si sono appena spenti i riflettori sul congresso dell’Associazione americana di Diabetologia (Ada), ma l’eco delle notizie arrivate da oltre-oceano continua a risuonare, vista l’importanza degli studi presentati, molti dei quali pubblicati in contemporanea sulle principali riviste internazionali.

Gli occhi della comunità scientifica sono tutti puntati sulle performance dei nuovi farmaci anti-obesità, che sono anche anti-diabete, anti-steatosi epatica, ecc. insomma multi-tasking, a riprova che l’obesità è davvero la madre di tanti problemi di salute. Avere a disposizione nuovi farmaci significa riuscire a dare una risposta concreta, insieme agli irrinunciabili piani dietetici e prescrizioni di attività fisica, alle centinaia di milioni di persone, impegnate ogni giorno in una lotta frustrante contro sovrappeso-obesità. Problemi che non si può pensare di risolvere sottoponendo questo esercito di persone a chirurgia o endoscopia bariatrica. Si stima infatti che entro il 2050 nel mondo ci saranno oltre 1,3 miliardi di persone con diabete e oltre 4 miliardi in sovrappeso (delle quali 1,5 miliardi con obesità).

Ma torniamo all’Asa, dove sono andate in scena ricerche di fase 3, che saranno la base dei prossimi dossier registrativi, ma anche interessantissimi studi di fase 2, pronti a decollare verso le conferme di studi su numeri più importanti.

Protagonisti della lotta all’obesità sono una serie di ormoni intestinali del gruppo delle incretine (GLP-1 e GIP) e pancreatici (glucagone), sui quali sono stati costruiti diversi farmaci, che li vedono agire da soli o variamente associati (doppi o tripli agonisti). All’inizio erano tutti farmaci a somministrazione quotidiana per iniezione sottocutanea (come l’insulina); oggi molti dei farmaci di questa categoria sono a somministrazione iniettiva settimanale. E di alcuni spuntano anche le ‘versioni’ in ‘pillola’, già testate per il diabete. Per tutti, gli effetti indesiderati, che spesso purtroppo impediscono la prosecuzione del trattamento, sono prevalentemente gastro-instestinali (soprattutto nausea, seguita da stipsi, vomito, eruttazioni, diarrea).

I nuovi anti-obesità in pillole

Dall’Ada, in contemporanea con la pubblicazione su Lancet, arrivano i risultati dello studio di fase 3 OASIS 1 sulla semaglutide (Novo Nordisk) assunta in compresse da 50 mg come anti-obesità (il farmaco è già in commercio come anti-diabete al dosaggio di 14 mg). E i risultati, pubblicati in contemporanea su Lancet, sono molto interessanti; la semaglutide orale, associata ad un programma di dieta e attività fisica, consente di ottenere una perdita di peso del 15,1%, rispetto al placebo, dopo 68 settimane di trattamento. Insomma, un’arma in più a disposizione delle persone che lottano per riuscire a perdere peso e non vogliono sentirne di fare punture. 

La carica degli anti-obesità iniettivi

Lo studio di fase 3 Surmount-2, presentato all’Ada e pubblicato su Lancet, ha dimostrato che tirzepatide (Eli Lilly), un doppio agonista GLP-1/GIP, somministrato mediante iniezione sottocutanea una volta a settimana, controlla efficacemente il diabete e intanto riduce il peso corporeo; i soggetti coinvolti in questo studio, tutti con diabete e sovrappeso/obesità, hanno perso in 72 settimane di trattamento circa 15 kg, pari al 15% del loro peso iniziale.

Parallelamente l’emoglobina glicata si è ridotta dall’8% al 5,9%, senza provocare ipoglicemia grave. “Con un nuovo farmaco come tirzepatide – ha commentato W. Timothy Garvey, dell’Università dell’Alabama (Usa) – risulta evidente che dobbiamo avere un approccio ‘peso-centrico’ al trattamento del diabete di tipo 2, quando sia presente anche obesità. Queste due condizioni sono strettamente interconnesse”.

Le nuove promesse dagli studi di fase 2

Uno studio di fase 2, su pazienti con diabete e obesità, ha dimostrato che la somministrazione di survodutide (Boehringer Ingelheim), un nuovo ‘doppio-agonista’ dei recettori di glucagone e GLP-1, somministrato per iniezione sottocutanea una volta a settimana, ha prodotto, al dosaggio più alto, una riduzione di peso del 19% circa, rispetto al placebo, dopo 46 settimane di trattamento.

“L’attivazione dei recettori per il glucagone e il GLP-1 operata da survodutide – commenta il primo autore dello studio Carel le Roux, Università di Dublino – riduce l’appetito e allo stesso tempo aumenta il consumo energetico”.

Diabete e obesità spesso si associano ad un’altra condizione sempre più attenzionata, il ‘fegato grasso’ (NAFLD), che può avere una serie di conseguenze negative. Grande attenzione hanno destato dunque i risultati di uno studio di fase 2 presentati al congresso dell’Ada e pubblicati in contemporanea sul New England Journal of Medicine e su Lancet. Protagonista di questa ricerca, condotta su 338 pazienti, è retatrutide (Eli Lilly), un nuovo farmaco a somministrazione iniettiva settimanale, che è un ‘triplo agonista’ dei recettori del GIP, del GLP-1 e del glucagone.

Retatrutide ha prodotto una perdita di peso fino al 24% (in pratica un quarto del peso iniziale, cioè una media di 27 chili) in 11 mesi di trattamento, ha normalizzato il contenuto di grasso nel fegato in 9 pazienti su 10, dopo 48 settimane di trattamento e ha ridotto l’emoglobina glicata di 1,3-2 punti percentuali dopo sei mesi di trattamento.

Insomma una terapia ‘3-in-1’ che adesso dovrà essere vagliata all’interno del programma di studi di fase 3 Triumph, che analizzerà anche l’efficacia di questo nuovo farmaco nel ridurre le apnee ostruttive da sonno e l’artrosi del ginocchio. “Colpisce davvero molto il fatto che i pazienti trattati con il dosaggio più alto del farmaco abbiano perso ben un quarto del loro peso iniziale in 11 mesi – commenta il primo autore dello studio, la professoressa Ania M. Jastreboff, condirettore del Yale Center for Weight Management dell’Università di Yale (Usa) – Dobbiamo trattare l’obesità alla stessa stregua delle altre condizioni croniche, con terapie mirate ai meccanismi alla base di questa malattia. Questi risultati ci spingono a promuovere questo farmaco dagli studi di fase 2 a quelli fase 3, per valutarne l’efficacia e la sicurezza, come potenziale nuova opzione di trattamento per le persone con obesità”.

Sul fronte delle ‘nuove promesse’ nel campo degli anti-obesità a somministrazione orale giornaliera, spunta infine l’orforglipron (Eli Lilly), un agonista del GLP-1 non peptidico. I risultati dello studio GZGI, pubblicati sul New England Journal of Medicine, dimostrano che la somministrazione di questo farmaco, a diversi dosaggi, determina dopo 26 settimana una perdita di peso dell’8,6-12,6% da quello iniziale, che arriva al 9,4-14,7% a 36 settimane. Significativa anche la riduzione di pressione arteriosa sistolica (- 10,5 mmHg) ottenuta da questo trattamento.

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