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Sonno e caldo, la rivincita della pennichella

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Chi dorme non piglia pesci? La scienza moderna sembra smentire il celebre detto, specie se parliamo del riposo post-prandiale. Con la canicola diventa più difficile riposare, eppure a mettere in luce i benefici della siesta arriva la Società Italiana di Neurologia, forte dei risultati di una serie di studi. Tutto merito di una sorta di predisposizione genetica alla pennichella, che sembra essere associata a un maggior sviluppo cerebrale e a un ridotto rischio di Alzheimer.

I lavori scientifici

L’estate scorsa un lavoro della Northwestern University pubblicato su Current Biology aveva indicato che le temperature superiori a 25 gradi spingono facilmente alla siesta, perché esiste un termometro cerebrale che regola il metabolismo corporeo a seconda delle temperature esterne. Come dire, quando l’afa insiste, è meglio ‘spegnere tutto’.

“Col riscaldamento globale queste temperature sono state ormai abbondantemente superate – sottolinea il presidente della Società Italiana di Neurologia Alfredo Berardelli – ma, secondo uno studio appena pubblicato dalle Università di Montevideo e Londra e dal Center for Genomic Medicine di Boston e dal Broad Institute di Cambridge, esiste una predisposizione genetica alla siesta che al contempo sembra essere associata a un maggior sviluppo cerebrale e a un ridotto rischio di malattia di Alzheimer“.

Occhio all’orologio

I benefici cerebrali del sonno pomeridiano – stando alla ricerca – si evidenziano con una siesta di durata compresa fra 5 e 15 minuti e possono protrarsi fino a 1 o 3 ore dopo. Se la pennichella supera mezz’ora, invece, si osserva un transitorio deterioramento delle performance cognitive. Quindi meglio non esagerare.

Dna, sonnellino pomeridiano e cervello

Lo studio ha esaminato i dati presenti nell Biobanca britannica e relativi a circa 378mila soggetti di ambo i sessi, con un’età media di 57 anni che sono stati prima valutati con studi GWAS, cioè di associazione genome-wide che valuta tutte le variazioni geniche tra gli individui in esame, correlandole alle differenze di alcuni tratti particolari. “I soggetti del campione sono stati poi valutati tramite imaging cerebrale – racconta Giuseppe Plazzi, responsabile dei Laboratori per lo Studio e la Cura dei Disturbi del Sonno dell’Irccs Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna – ed è risultato che la predisposizione genetica al sonnellino diurno era associata a un volume cerebrale totale maggiore di 15,80 cm3″. Questo, secondo gli autori, potrebbe suggerire che regolari sonnellini diurni forniscono una certa protezione contro la neurodegenerazione, compensando la carenza di sonno notturno.

Non risulta aumentato invece il volume dell’ippocampo, e non migliorano aspetti come il tempo di reazione e la memoria visiva.

Cervello più giovane?

Con il passare del tempo il nostro cervello rimpicciolisce: secondo alcune ricerche il  volume cerebrale si ridurrebbe tra lo 0,2% e lo 0,5% all’anno. Ecco allora che, secondo la Sin, questa ricerca potrebbe indicare che chi non rinuncia alla pennichella guadagna fra i 2,6 e i 6,5 anni in termini di invecchiamento cerebrale.

La mancata evidenza di un’associazione tra la siesta, il volume dell’ippocampo e i miglioramenti cognitivi potrebbe però indicare che altre aree, come ad esempio quelle preposte alla vigilanza, possono essere influenzate dall’abitudine al sonnellino diurno. Ecco perchè occorreranno altri studi per far piena luce sul legame tra cervello e pennichella. Con buona pace dei circa 13,4 milioni di connazionali affetti da disturbi del sonno. 

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