Addio ad Ian Wilmut, il papà della pecora Dolly aveva 79 anni

Ian Wilmut

E’ morto all’età di 79 anni Sir Ian Wilmut, embriologo noto in tutto il mondo come uno dei ‘papà’ della pecora Dolly, il primo mammifero clonato con successo. La creazione di Dolly nel 1996 è stata senza dubbio uno dei più grandi goal della scienza del XX secolo.

Il lavoro di Ian Wilmut presso il Roslin Institute di Edimburgo ha gettato le basi per la ricerca sulle cellule staminali. La sua eredità non consiste solo nello ‘zoo degli animali clonati’, che dopo Dolly ha registrato una serie di successi, fra i più noti il toro Galileo e la cavalla Prometea frutto del lavoro dall’italiano Cesare Galli. Le ricerche di Wilmut hanno infatti aperto la strada alla medicina rigenerativa, che punta a curare molte delle malattie legate all’invecchiamento consentendo al corpo di ‘riparare’ i tessuti danneggiati.

“Ian Wilmut – sottolinea a Fortune Italia il genetista Giuseppe Novelli dell’Università di Roma Tor Vergata – è stato un pioniere della biologia. Dolly ha dimostrato la straordinarietà della biologia rigenerativa: ottenere da una cellula dalla mammella un organismo intero, vivo e capace di riprodursi è stato certamente una avanzamento verticale della scienza. Il team di Wilmut – aggiunge il genetista – ha innescato una rivoluzione nella ricerca biomedica che avrà ancora enormi ripercussioni sulla salute di tutti noi“.

Nella foto: Faye Weldon, il dr Keith Campbell (sinistra) e il dr Ian Wilmut (destra), questi ultimi i “papà” di Dolly, la prima pecora clonata, insieme a loro nella foto/ ph Steve Gibson / FARABOLAFOTO

La storia di Dolly

Per arrivare a Dolly, la cui nascita fu annunciata nel febbraio del 1997 sulla rivista ‘Nature’ dal team coordinato da Ian Wilmut e Keith Campbell, ci vollero 277 tentativi e una lunga storia di controversi esperimenti iniziati sulle rane intorno alla metà del ‘900. La prima pecora clonata fu soppressa il 14 febbraio del 2003, poco prima di compiere 7 anni, per le complicazioni di un’infezione polmonare. I suoi resti impagliati sono esposti Royal Museum di Edimburgo.

La tecnica

La tecnica usata dal team di Ian Wilmut consistette nel prelevare da un animale adulto donatore una cellula somatica il cui materiale genetico era stato estratto e trasferito in una cellula uovo non fecondata, precedentemente svuotata del suo Dna. Successivamente, attraverso una scarica elettrica o un impulso chimico, l’ovulo diventava embrione: il punto di partenza per ottenere una creatura identica all’originale.

Fra gli obiettivi che mossero i pionieri della clonazione animale c’erano prospettive commerciali, agro-alimentari, ma soprattutto scientifiche: dagli xenotrapianti (per organi animali da impiantare sull’uomo) alla clonazione terapeutica (ricavare linee cellulari embrionali umane utili alla produzione di ‘pezzi di ricambio’ contro alcune malattie), fino al ‘pharming’ (clonare animali che possano diventare ‘fabbriche’ di medicinali).

La carriera

Nel 2005 Wilmut accettò una cattedra di scienze della riproduzione presso l’Università di Edimburgo, dove ha diretto il Centro di medicina rigenerativa fino al 2011. Lo scienziato ha contribuito a stabilire un progetto di collaborazione per studiare le basi genetiche delle malattie dei motoneuroni utilizzando le staminali pluripotenti sviluppate dal ricercatore giapponese premio Nobel Shinya Yamanaka nel 2008.

La stessa tecnica ha portato Wilmut e i suoi colleghi a lanciare un’iniziativa di ricerca congiunta con l’Università di Dundee sul morbo di Parkinson. Annunciandola in occasione della Giornata mondiale del Parkinson nell’aprile 2018, Wilmut rivelò che gli era stata recentemente diagnosticata questa malattia.

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