Se gli infermieri fuggono i chirurghi non se la passano meglio

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Ci siamo occupati più volte della grande fuga dei medici, ma in realtà l’Italia fa i conti con un’emorragia che ‘contagia’ numerosi operatori della sanità: è il caso degli infermieri, ma come è emerso questi giorni anche i chirurghi non se la passano bene.

Negli ultimi anni circa 10mila specialisti hanno lasciato il Ssn, e una percentuale importante ha riguardato i chirurghi. Una specializzazione che, come quella infermieristica, pare aver perso appeal. “Quest’anno circa 200 borse di studio sono andate perse”, ha sottolineato Pierluigi Marini dal Congresso Nazionale dell’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (Acoi) che si è chiuso a Roma.

Il caso degli infermieri

Protagonista di un celeberrimo anime che ha segnato la generazione dei ragazzini degli anni ’80, la professione di ‘Candy Candy’ pare aver perso smalto oggi fra i giovani. Come emerge dalla Nadef 2023, attualmente mancano nel nostro Paese tra i 60.000 e i 70.000 infermieri. Ma una recente analisi della Fnpi (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche) fa presagire tempi peggiori. Le domande di accesso ai corsi di laurea di Infermieristica in alcuni atenei, per la prima volta, non raggiungono nemmeno il numero di posti a bando.

Fnopi parla di una riduzione media del -10% rispetto allo scorso anno accademico, particolarmente sentita in alcune aree del Paese: –12,6% al Nord, -15% al Centro e -5,7% al Sud. E allora? Allora presto “non saremo più in grado di garantire salute a tutti. È una prospettiva concreta, reale, che comporta perdite economiche, sociali, oltre che un restringimento dei diritti civili”, avverte la Federazione.

Antonio De Palma, presidente nazionale Nursing Up, rincara la dose: “Nei prossimi tre anni rischiamo di perdere il 30-30,5% di operatori sanitari. La professione perde sempre più di attrattività e la politica non investe nelle nostre straordinarie risorse umane. Quest’anno si raggiungerà il record negativo assoluto di domande da quando ci sono i test di ammissione: per la selezione del 14 settembre sono previsti 23.540 candidati per 20.134 posti a disposizione”.

Ma come si arriva al -30% previsto da Nursing Up? “Se al grave tasso di abbandono dei corsi per infermiere, pari al 20%, aggiungiamo quell’ulteriore -10,5% di domande arrivate rispetto ai posti programmati dalle Università per l’anno accademico 2023/24, l’Italia rischia di perdere, nei prossimi tre anni, fino al 30-30,5% di infermieri”, spiega il presidente del sindacato, che nei giorni scorsi aveva segnalato Emirati Arabi ed Arabia Saudita fra le mete degli infermieri italiani in fuga.

Come invertire la rotta

Per Fnopi è ormai tempo di finanziare le lauree magistrali abilitanti a indirizzo clinico, per avere infermieri specialisti in grado di gestire una filiera assistenziale composta da più professionisti con livelli di competenze diversificate. Ma occorre anche rivedere i criteri di accesso ai corsi di laurea triennali (test di ammissione separato con nuove modalità; autonomia e specificità della selezione al corso). Oltre a “un cambio immediato dei modelli organizzativi” con nuovi sbocchi di carriera e professionali. Sul fronte della retribuzione, poi, “l’indennità di specificità infermieristica va aumentata di almeno il 200% (216 euro lordi/mese)”.

Per evitare esodi sull’asse Nord-Sud (così come all’estero) si deve infine intervenire subito sulle modalità di reclutamento e ingaggio. “Nessuna altra soluzione – ha detto la presidente Barbara Mangiacavalli – può essere ritenuta adeguata se prima non saranno messe in atto queste nuove misure strutturali. Senza un deciso e immediato cambio di rotta è a rischio l’applicazione dell’articolo 32 della Costituzione”.

Se la grande fuga contagia i chirurghi

Il punto, infatti, è sempre quello: assicurare alla popolazione il diritto alla Salute (e al Ssn un futuro). Per farlo, però, servono gli operatori. Il presidente di Acoi Marco Scatizzi si è detto “molto preoccupato” dei dati emersi dal sondaggio presentato e che ha coinvolto circa 300 giovani chirurghi. “Più del 40% vuole abbandonare la professione perché la stragrande maggioranza lavora ben più di quanto sarebbe previsto da contratto e il 73% del tempo è speso in burocrazia e solo l’8% in sala operatoria”, sintetizza.

“Abbiamo deciso di istituire un dipartimento formativo: dove non arrivano le istituzioni, dove non arrivano le scuole di specializzazione, dove non arriva un percorso ospedaliero non gestito, abbiamo il dovere di proporre un percorso dell’assistente in formazione dentro al Distretto Formativo. Vogliamo aiutare le nuove generazioni di chirurghi a restare in questa professione e, soprattutto, vogliamo che” questi giovani “restino in Italia”, ha spiegato Scatizzi.

Un po’ di luce dalle giovani leve

In questo quadro francamente sconfortante, arriva la bella notizia di Arianna Vicari, la studentessa arrivata prima ai test di Medicina. Arianna ha infatti partecipato al percorso di potenziamento-orientamento “Biologia con curvatura biomedica” al Liceo scientifico Quadri di Vicenza, uno dei quasi 300 Istituti coinvolti nel progetto messo in campo dalla Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, in collaborazione con il ministero dell’Istruzione e del Merito.

Il progetto prevede, a partire dal terzo anno dei licei, un indirizzo ‘biomedico’, extracurriculare, che accompagna gli studenti verso le facoltà di area medica, dando modo di ‘toccare con mano’ la realtà dell’assistenza e mettere alla prova le proprie motivazioni e inclinazioni.

Alla studentessa arrivano gli auguri e i complimenti del presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, convinto che questo approccio “sia  importante perché mette alla prova la vocazione dei giovani. E questo, secondo me, se è portato a sistema, risolve in maniera definitiva l’accesso alla professione medica, perché si dà la possibilità ai ragazzi di poter decidere in due, tre anni e non soltanto in un’ora, cioè quando si fa il test di accesso a Medicina”.

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