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Teorie complottiste, ecco chi rischia di cadere in trappola

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12 ottobre 1969, notte. Il Dj Russell Gibb sta animando il programma di una radio a Detroit. Arriva la classica chiamata di un ascoltatore. L’anonimo svela un segreto. Il tono è concitato. E la notizia è di quelle che colpiscono. Qualche anno prima, alla 5 della mattina del 9 novembre Paul McCartney sarebbe deceduto in un incidente d’auto su una Aston Martin, dopo un litigio con i Beatles.

Da allora, si racconta, sarebbe stato sostituito con un sosia, ovviamente anche bravissimo a cantare. “Paul is dead”, insomma. Una fake news cui hanno creduto in molti, alimentando le teorie complottiste. E che la dice lunga sul fatto che a volte, la verità che ci costruiamo è davvero relativa e poco oggettiva, con un percorso che tende ad alimentare teorie quanto meno audaci e non comprovate.

Ma chi potrebbe essere maggiormente soggetto a questo rischio? E perché? Oltre alle teorie socio-economiche, ora le ricerche coordinate da Julia Aspernäs dell’Università di Linköping mostrano che l’istinto, lungi dal diventare uno strumento di discriminazione maggiore in grado di guidarci verso la verità, diventa un’arma a doppio taglio. E che chi usa principalmente questo mezzo per determinare cosa è vero e cosa è falso sarebbe maggiormente esposto a teorie complottiste (e alle fake news).

Perché la verità è relativa. E indagando la relazione tra la suscettibilità ad informazioni false e convinzioni che la realtà sia relativa e “gestibile” da ognuno, gli esperti hanno dimostrato che si rischia di più. Che cosa? Di cadere vittima di informazioni errate o, in caso di chiara malafede o strumentalizzazione, addirittura di vere e proprie frodi.

Sia chiaro. Il punto di partenza di questi atteggiamenti è tutto fuorché negativo. Perché alla fine chi tende a cadere e a diventare (a volte anche suo malgrado) veicolo di disinformazione e di errori cognitivi prende il via nel suo pensiero dal giusto diritto di dare spazio e voce a tutti. Purtroppo in questo modo, come si spiega negli articoli scientifici apparsi su ‘Journal of Research in Personality’, ci si accorge che questa convinzione alla fine può risultare pericolosa. E facilitare la diffusione e la circolazione di teorie complottiste.

Gli esperti svedesi, per giungere a questa conclusione, hanno preso quindi in esame la relazione tra il cosiddetto relativismo della verità e il rischio di cadere vittima di informazioni errate o fraudolente. Per valutare la situazione hanno dapprima condotto un sondaggio online di 1000 svedesi, interrogati sul senso stesso della verità secondo loro e su frasi senza senso e su teorie complottiste.

Ovviamente i dati sono stati verificati alla luce di fattori che potrebbero socialmente esporre ad un maggior rischio di “fake”, come l’orientamento politico, l’età o il livello di istruzione. Secondo studio: a circa 400 persone provenienti dal Regno Unito si sono poste ulteriori domande, valutando anche grado di dogmatismo e la volontà di adattare le proprie percezioni di fronte a fatti nuovi.

Riflessione finale. Il relativismo della verità è “double face”. Da una parte si pone chi è convinto che sia vero ciò che sente personalmente vero, e quindi crede in una verità totalmente soggettiva. Dall’altra parte ci sarà chi crede solamente che la verità dipenda dalla cultura o dal gruppo a cui si appartiene. Quindi, in questo caso, il relativismo diventa culturale.

Attenzione però: chi crede che la verità alla fine sia solo soggettiva risulta maggiormente a rischio di sposare teorie complottiste e di mantenere le proprie convinzioni anche di fronte a fatti che le contraddicono, trovando anche messaggi profondi nelle frasi che apparentemente non hanno senso. Insomma, la verità relativa espone più spesso all’errore.

D’altro canto, tornando a “Paul is dead”, pensate a quanto i “segni” che dovevano confermare decesso e sostituzione immediata dell’artista siano apparsi rapidamente e si siano ricercati, come veri messaggi profondi. Chi ha creduto in questa teoria si è rifatto anche alla copertina del vinile ‘Abbey Road’. La ricordate? Il solo fatto che Paul cammini scalzo e tenga la sigaretta con la destra, essendo mancino, ha fatto riflettere. I messaggi o le frasi apparentemente poco significativi e quasi privi di senso favoriscono la verità soggettiva. E forse aiutano a credere in ciò che si vuole credere. Favorendo il perpetuarsi dell’errore, quando ovviamente è presente.

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