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Violenza di genere e mutilazione genitale, la direttiva Ue: cosa cambia

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L’Europa compie un significativo passo in avanti nel contrasto alla violenza di genere: il Consiglio Ue ha infatti dato il via libera alla direttiva che configura come reato in tutti i Paesi membri la mutilazione genitale femminile, i matrimoni forzati e la violenza online, come la condivisione non consensuale di immagini intime. Chi commette questi reati rischia una pena detentiva da uno a cinque anni.

Le misure

La nuova legge contiene misure ad hoc per prevenire la violenza contro le donne e la violenza domestica e stabilisce standard per la protezione delle vittime di questi reati. La direttiva prevede anche un’ampia lista di circostanze aggravanti, come il fatto di aver commesso il reato contro un bambino, un ex coniuge o partner, o ancora un rappresentante pubblico, un giornalista o un difensore dei diritti umani, aggravanti che comportano pene più severe. Non mancano poi norme dettagliate che regolamentano le misure di assistenza e protezione che gli Stati membri devono fornire alle vittime. 

Per proteggere la privacy della vittima, gli Stati devono inoltre garantire che le prove relative alla condotta sessuale passata della vittima siano ammesse nel procedimento penale solo se pertinenti e necessarie. E avranno tre anni di tempo dall’entrata in vigore per recepire la diretta nel proprio diritto nazionale. 

Mutilazione genitale femminile

Fra le novità introdotte dalla direttiva, la configurazione come reato della mutilazione genitale femminile per tutti i Paesi dell’Ue, invocata da associazioni e addetti ai lavori: “È un atto dovuto e anzi tardivo, che noi richiedevamo da tempo”, sottolinea a Fortune Italia il dottor Foad Aodi, presidente dell’Amsi, l’associazione medici di origine straniera in Italia e dell’Unione medica euro-mediterranea. 

Con le ultime ondate migratorie, la mutilazione genitale femminile ha cominciato a diffondersi anche nel Vecchio Continente. Si stima che siano almeno 600mila le donne in Europa ad avere subito mutilazioni genitali femminili, mentre nel mondo il dato sale alla cifra vertiginosa di 200 milioni. “Se non si metteranno in campo concrete strategie per eradicare questa pratica, stimiamo che da qui al 2030 siano a rischio altri 68 milioni di donne”, spiega Aodi. 

“Siamo di fronte ad una pratica arcaica, illogica, violenta e soprattutto illegale, che non ha nulla a che vedere con la cultura araba e con la religione musulmana, ma che compromette fortemente la salute psichica e fisica di chi la subisce e che in alcuni casi può condurre anche alla morte”. Una pratica brutale a cui viene sottoposto il 37% della popolazione femminile mondiale tra i 15 ed i 19 anni. In Italia sono circa 85.000 le bambine e ragazze tra 0 e 20 anni provenienti da Paesi che praticano le mutilazioni e circa il 35% è fortemente a rischio di subirle.

Un osservatorio contro le mutilazioni genitali

“Con l’Amsi e con l’Unione medica euro-mediterranea – conclude Foad Aodi  – vogliamo dare vita a un osservatorio internazionale per combattere le mutilazioni e prevenire le complicanze e gli effetti collaterali. Le bambine sono vittime due volte: la prima quando subiscono la mutilazione, la seconda per gli effetti collaterali. La società civile non può restare a guardare”. 

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