Liste d’attesa, il caos ‘certificato’ dall’ultima indagine Agenas

Agenas
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Talvolta non resta che armarsi di pazienza: se il caso liste d’attesa agita ormai da tempo quanti si occupano di sanità, l’ultimo report diffuso da Agenas e Fondazione The Bridge ‘certifica’ una situazione francamente caotica. Intanto le Regioni ‘parlano’ linguaggi diversi, e alcune proprio non rispondono.

Poi i dati forniti sono spesso parziali e incompleti. Insomma, se non sorprende la differenza di performance in un’Italia che da sempre in sanità va a più velocità, in un’epoca di intelligenza artificiale e Big data stupisce comunque constatare il ritardo di alcune realtà e il linguaggio diverso dei sistemi regionali.

Un quadro complessivo “di scarsa confrontabilità dei dati tra le Regioni, ma anche tra quelli di una stessa Regione, se considerate diverse annualità”, come ha sottolineato Rosaria Iardino, presidente di Fondazione The Bridge, commentando al ministero della Salute i risultati della ricerca. “Inoltre i dati forniti – rincara la dose Iardino – erano spesso incompleti. Alla luce di tutto ciò, il cittadino si trova oggi in una situazione di grave carenza informativa. Insieme ad Agenas, abbiamo intrapreso un percorso che ha l’obiettivo di individuare regole univoche per la raccolta dei dati sulle liste d’attesa da parte delle Regioni e consentirne la leggibilità, sia in termini di diritto di accesso da parte dei cittadini, sia per una corretta pianificazione da parte dei decisori”.

Il punto è infatti che se non abbiamo dati chiari sulle attese – al di là delle regnalazioni delle associazioni come Cittadinanzattiva – diventa impossibile anche individuare correttivi mirati.

Il monitoraggio

L’obiettivo generale del progetto Agenas-Fondazione The Bridge era proprio quello di far luce sulle liste di attesa, rendendo disponibili dati omogenei e standardizzati Regione per Regione. Al centro dell’ultima analisi la settimana del 22-26 maggio 2023. Sono state raccolte informazioni su 125.000 prenotazioni di visite specialistiche e 146.000 prenotazioni di esami diagnostici.

E qui arriva il primo problema: tutte le Regioni sono state invitate a partecipare fornendo i dati, ma hanno risposto solo in 13: dunque otto mancano all’appello. Anche fra chi ha risposto emergono notevoli differenze: Emilia-Romagna, Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Marche, PA di Trento e Piemonte hanno inviato i dati totali a livello regionale mentre Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Sardegna, Umbria e Veneto hanno trasmesso dati parziali riferiti a una o più Asl.

Il recupero del ritardo ‘da pandemia’

A ingolfare la sanità, allungando le attese, anche i ritardi accumulati in pandemia. Ebbene, stando ai dati presentati oggi al ministero, nella maggioranza delle Regioni italiane migliorano nel 2023 le prestazioni ambulatoriali, ovvero la quantità di visite ed esami erogati dal Servizio sanitario nazionale, rispetto al primo semestre 2022. 

Ma se guardiamo i primi sei medi del 2019 (dunque prima della pandemia) tutte le Regioni – tranne la Toscana nell’ambito delle visite di controllo – mostrano criticità nel ristabilire i volumi di prestazioni antecedenti la pandemia.

Regione che vai…

Quanto al monitoraggio sperimentale, in generale la prima visita cardiologica è garantita in classe B (entro 10 giorni) nell’84% dei casi e in classe D (entro 30 giorni per le visite e 60 gg per gli esami diagnostici) nell’80% dei casi. Tutto bene? Non proprio: l’attesa media per le visite in classe B oscilla dai 13 giorni in Friuli Venezia Giulia ai 5 dell’Emilia-Romagna.

Per la prima visita ortopedica in classe B siamo al 74% dei casi e in classe D al 78%. Ma anche qui non mancano le differenze: in Toscana in classe D il valore mediano di attesa è pari a 18 giorni, contro i ben 36 del Piemonte.

Nel caso degli esami, la Tac è garantita in classe B nel 78% dei casi e in classe D nel 89% dei casi.Ma l’attesa media in classe D passa da 4 giorni nella Provincia autonoma di Trento ai 21 giorni delle Marche. Per un’ecografia dell’addome, invece, in Abruzzo (in classe B), il valore mediano di attesa è pari a 4 giorni mentre nel Lazio s arriva a ben 31 giorni.

La scelta dell’utente

In questo quadro, però, c’è da tener conto anche dell’effetto della scelta dell’utente. Nel 51% dei casi, infatti, il paziente opta per una data peggiorativa rispetto a quella offerta dal sistema, pur di poter scegliere una struttura diversa da quella proposta in prima disponibilità (73% dei casi) o una data successiva a quella proposta (20% dei casi). Una questione organizzativa, che ha comunque un impatto sui tempi rilevati dall’indagine.

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