Memoria, potenziarla con una proteina ingegnerizzata

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In un’Italia che invecchia e fa i conti con l’impatto di patologie neurodegenerative, l’ultima ricerca firmata dagli studiosi della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma e della Fondazione Policlinico Gemelli è destinata a far parlare di sè.

Gli scienziati hanno infatti sviluppato una proteina ingegnerizzata che potenzia la memoria, testandola con successo sugli animali. Un risultato davvero interessante per la ricerca impegnata a contrastare gli effetti di demenza e Alzheimer. Pensiamo solo che, secondo stime dell’Iss, in Italia abbiamocirca 1.100.000 persone con demenza (di cui il 50-60% con Alzheimer) e altre 900.000 con mild cognitive impairment. 

Il team della Cattolica ha utilizzato un approccio peculiare, detto chemogenetica (che unisce chimica a genetica), selezionando una molecola normalmente attiva nel cervello, con un ruolo chiave nella memoria: si tratta della proteina LIMK1, alla quale è stato aggiunto un “interruttore molecolare” che la accende in risposta alla somministrazione di un farmaco, la rapamicina, con diversi effetti anti-aging sul cervello. Il lavoro, descritto su ‘Science Advances’, è stato coordinato dal Claudio Grassi, Ordinario di Fisiologia e direttore del Dipartimento di Neuroscienze.

La proteina

LIMK1 ha un ruolo cruciale nel determinare modifiche strutturali a carico dei neuroni, ovvero la formazione delle spine dendritiche che, potenziando la trasmissione delle informazioni nelle reti neurali, risultano cruciali per apprendimento e memoria. La memoria stessa “è un processo complesso che coinvolge modificazioni a carico delle sinapsi, ovvero le connessioni tra neuroni attraverso cui viaggia il segnale nervoso, in particolari aree cerebrali quali l’ippocampo, un centro nervoso che svolge un ruolo fondamentale nella memoria”, ricorda Grassi. “Questo fenomeno, definito plasticità sinaptica, comporta modificazioni della struttura e della funzione delle sinapsi che si generano quando un circuito nervoso si attiva a seguito, ad esempio, di esperienze sensoriali”.

Queste esperienze promuovono l’attivazione di complesse vie di segnalazione che coinvolgono numerose proteine. Alcune di esse sono particolarmente importanti per la memoria: lo dimostra il fatto che “una loro ridotta espressione o delle modificazioni sono associate ad alterazioni delle funzioni cognitive. Una di queste proteine è proprio LIMK1. L’obiettivo del nostro studio – precisa l’esperto – è stato quello di rendere controllabile la funzione di questa proteina che gioca un ruolo chiave nella maturazione dei punti di contatto (spine dendritiche) tra neuroni a livello delle sinapsi. Poter controllare LIMK1 attraverso un farmaco significa promuovere la plasticità sinaptica e, quindi, i processi fisiologici che da essa dipendono”.

La chemogenetica

Il team ha fatto ricorso a una strategia innovqtiva: la chemogenetica, “legata proprio all’uso di rapamicina”, precisa Cristian Ripoli, professore Associato di Fisiologia all’Università Cattolica, primo autore e ideatore dello studio. La rapamicina è un farmaco immunosoppressore ampiamente utilizzato in ambito clinico, nelle persone sottoposte a trapianto. Una molecola nota anche per aumentare le aspettative di vita e per i suoi benefici effetti sul cervello, documentati in modelli preclinici.

Da sinistra: il professor Ripoli e il professor Grassi/Credits Università Cattolica

“Abbiamo, quindi, modificato la sequenza della proteina LIMK1 inserendo al suo interno un interruttore molecolare che ci consentisse di attivarla, a comando, mediante la somministrazione di rapamicina. In animali di laboratorio che mostravano un deterioramento delle performance cognitive legato all’età, l’utilizzo di questa terapia genica per modificare la proteina LIMK1 e attivarla con il farmaco ha determinato un significativo miglioramento della memoria – spiega Ripoli – Questo approccio chemogenetico ci permette, quindi, di manipolare i processi di plasticità sinaptica e la memoria sia in condizioni fisiologiche che in condizioni patologiche”.

Le prospettive

Lo studio apre la strada per lo sviluppo di ulteriori proteine ingegnerizzate che “potrebbero rivoluzionare la ricerca e la terapia nel campo della neurologia”, sottolinea l’esperto. “Il prossimo passo sarà verificare l’efficacia di questo trattamento in modelli sperimentali di malattie neurodegenerative che manifestano deficit di memoria, quali, ad esempio, la malattia di Alzheimer – conclide Grassi – Saranno, inoltre, necessari ulteriori studi per validare l’impiego di questa tecnologia nell’uomo. Insomma, siamo ancora agli inizi di un percorso che però si prospetta estremamente interessante. Come dimostra anche il finanziamento di Mur, ministero della Salute e Fondazione Americana Alzheimer’s Association.

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