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Hiv e la paura del giudizio, perchè parlarne serve (anche sui social)

Hiv Aids evento
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I progressi del pharma hanno cambiato la storia dell’Hiv ma, a 32 anni di distanza dal bacio fra l’immunologo Fernando Aiuti e la giovane sieropositiva Rosaria Iardino, non siamo ancora riusciti a sconfiggere la paura del giudizio e dell’emarginazione che troppo spesso accompagna la diagnosi. Il fatto è che oggi di Hiv e Aids si parla davvero troppo poco.

Ma in realtà gli strumenti per fare informazione corretta e favorire una diagnosi precoce, arrivando a giovani che non sono cresciuti con le campagne d’informazione degli anni ’90, ci sarebbero. L’idea è venuta, forse non a caso, a un’azienda impegnata da decenni nella ricerca contro questo virus, per il quale ancora non esiste un vaccino. Che è partita dai bisogni dei pazienti (che in Italia non sono pochi) per capire cosa serve di più.

I numeri del virus

L’Hiv attacca le cellule del sistema immunitario provocandone un indebolimento progressivo. Questo, a sua volta, aumenta il rischio sia di tumori, sia di infezioni da parte di altri agenti patogeni. Il virus dell’immunodeficienza si trasmette principalmente per via ematica, materno-fetale o sessuale. Finora sono stati oltre 40 milioni i decessi causati dal patogeno, che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2022 infettava circa 39 milioni di persone, due terzi nella Regione africana.

In Italia, sempre nel 2022, sono state segnalate 1.888 nuove diagnosi di Hiv. Dal 2012 si osserva nel nostro Paese una diminuzione delle nuove diagnosi, che appare più evidente dal 2018 al 2020, con un leggero aumento negli ultimi due anni post Covid-19. Lazio, Toscana, Abruzzo e Campania sono le regioni con il numero più alto di diagnosi. Nel 78,7% dei casi le persone che hanno scoperto di essere Hiv positive nel 2022 erano di sesso maschile. La maggior parte delle nuove infezioni (83,9%) è attribuibile a rapporti sessuali; in particolare, i maschi che fanno sesso con maschi costituiscono il 40,9%, gli eterosessuali maschi il 25,1% e le eterosessuali femmine il 17,9%.

Una scoperta che fa paura

Oggi le terapie antiretrovirali sono in grado di tenere sotto controllo l’infezione e i sintomi, garantendo un’aspettativa e una qualità della vita analoga a un soggetto non infetto. Le terapie, in pratica, consentono di inibire la replicazione del virus e bloccarne la trasmissione. Un concetto che si traduce nell’equazione U꞊U, ovvero Undetectable ꞊ Untransmittable: il virus non è rilevabile e quindi la persona non trasmette l’infezione.

Tutto bene, allora? Non proprio: il 40% delle persone con Hiv apprende dell’infezione per caso, e ben 2 su 10 rimandano la comunicazione, principalmente per la paura del giudizio e dell’emarginazione. L’infezione può avere forti ripercussioni a livello psicologico, soprattutto a causa di discriminazioni e difficoltà con gli altri, tanto che la depressione diventa un rischio reale. A pesare sulla qualità di vita, anche, la mancata aderenza alle terapie, che riguarda oltre un terzo dei pazienti, come racconta l’indagine realizzata da Elma Research su 500 pazienti.

“Considerato che il 95% delle persone comunica l’infezione ma lo fa in modo molto parziale, spesso escludendo familiari e amici, è evidente – ha detto Gabriella d’Ettorre del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma – che c’è ancora una forte componente di stigma e ‘autostigma’ che pesa sulla vita delle persone che scoprono la sieropositività al virus, con un carico che impatta negativamente sulla qualità di vita e sul benessere psicologico. Un dialogo aperto con il proprio medico, ma anche il supporto delle Associazioni di pazienti, rappresenta un punto cruciale per affrontare e risolvere queste problematiche. Come cruciale è continuare o, ancora meglio, tornare a parlare di Hiv”. E questo anche “per promuovere l’accesso al test volontario, soprattutto in chi ha comportamenti a rischio, in modo da favorire la diagnosi precoce dell’infezione”.

La campagna

“Hiv. Ne parliamo?” è la nuova campagna di sensibilizzazione promossa da Gilead Sciences con il patrocinio di 16 Associazioni di pazienti italiane, della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) e dell’Italian Conference on Aids and Antiviral Research (ICAR). Attraverso la voce dei pazienti si pone l’attenzione sugli aspetti di vita che possono essere migliorati, per prenderne consapevolezza e iniziare ad affrontarli. A partire da una domanda da fare al proprio medico: ne parliamo? Dagli aspetti psicologici alla corretta assunzione della terapia, questa campagna vuole offrire, attraverso le storie di chi vive con Hiv, spunti di riflessione sulla propria condizione e informazioni utili per migliorarla.

Il fattore tempo

Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Coa in quasi il 60% dei casi in Italia l’infezione viene scoperta in fase avanzata, cosa che può compromettere l’efficacia delle terapie che – se assunte precocemente – consentono una buona qualità di vita.

“Il contrasto all’Hiv – ha affermato Andrea Gori del Dipartimento Malattie Infettive, Ospedale “Luigi Sacco”, Università di Milano e presidente Anlaids Lombardia – può contare su strategie terapeutiche efficaci, in grado di azzerare la carica virale, soprattutto se assunte il più precocemente possibile rispetto al momento dell’infezione. L’aderenza alla terapia resta però il punto chiave, sebbene circa il 30% dei pazienti non riesca a rispettarla. Essere aderenti alla terapia vuol dire diminuire drasticamente la probabilità di comparsa di mutazioni del virus che possono provocare resistenze ai farmaci anti-Hiv, ossia una ridotta o assente capacità dell’efficacia della terapia stessa”. Non solo. “Chi segue le indicazioni terapeutiche – ha sottolineato Gori – protegge anche gli altri, poiché azzerando la replicazione del virus non trasmette l’infezione, non è più contagioso”.

Accendere i riflettori sull’Hiv

La campagna punta a rispondere a dubbi e domande della popolazione su un virus di cui si parla troppo poco. Un obiettivo che verrà raggiunto grazie anche a una serie di influencer che coinvolgeranno le loro community sensibilizzandole sull’importanza di parlare di Hiv. Perché parlandone è possibile abbattere le barriere del pregiudizio, dettate dalla non conoscenza e dalla non comprensione. I profili Instagram degli influencer saranno popolati dalle card con i messaggi di campagna che lanciano una challenge molto semplice: ne parliamo? Perchè proprio questa è una delle richieste delle persone che vivono con questo virus.

Fra le storie raccontate dalla campagna (su www.hivneparliamo.it) ce n’è una che colpisce: “Adesso ho una diagnosi di sieropositività – conclude la paziente, dopo aver raccontato la sua diagnosi e la reazione di amici e familiari (‘posso dire che chi mi ha allontanato è perché non conosceva o non voleva conoscere, comprendere. E questo, tutto sommato, è anche un buon modo per capire chi vale la pena di frequentare e chi no, chi ti vuole bene) – ma come dice la parola stessa io rimango sempre positiva“.​

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