Leucemia linfoblastica acuta, il trattamento chemio free

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È efficace a lungo il trattamento contro la leucemia linfoblastica acuta Philadelphia-positiva senza chemio, grazie a un mix di due terapie mirate. I risultati del follow-up di uno studio italiano ad hoc sono stati pubblicati sul ‘Journal of Clinical Oncology’ e rappresentano una buona notizia per i pazienti con questo sottogruppo di tumore del sangue. Gli studiosi segnalano infatti percentuali di sopravvivenza tra il 75% e l’80% a distanza di oltre quattro anni dal trattamento.

La malattia

La leucemia linfoblastica acuta Philadelphia positiva ha un’incidenza che aumenta progressivamente con l’età. Sopra i 50 anni può infatti interessare un caso su due. In passato era considerata la neoplasia ematologica con il decorso più infausto, perchè rispondeva poco alla chemioterapia. L’unica strategia potenzialmente curativa era legata alla possibilità di un trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche. Una procedura ostacolata, però, dalla scarsa sensibilità alla chemio e dall’età avanzata di molti pazienti.

La terapia chemio free

L’introduzione nella pratica clinica degli inibitori delle tirosin-chinasi ha cambiato le cose. In tutti i protocolli nazionali del gruppo cooperatore Gimema (Gruppo Italiano Malattie EMatologiche dell’Adulto) si è deciso di trattare i pazienti nella prima fase – quella detta “di induzione” – con un inibitore delle tirosin-chinasi associato alla terapia steroidea, senza chemioterapia. Si è osservato così che si ottenevano percentuali molto elevate di remissioni cliniche e limitati effetti collaterali, in pazienti di tutte le età.

Oltretutto gli inibitori delle tirosin-chinasi sono somministrati per via orale e quindi spesso a domicilio, con un vantaggio per la qualità di vita dei pazienti.

L’evoluzione

Il gruppo guidato da Robin Foà di Sapienza Università di Roma ha poi utilizzato un inibitore delle tirosin-chinasi di seconda generazione (dasatinib) seguito da un trattamento di consolidamento con un anticorpo monoclonale bispecifico (blinatumomab) in grado di riconoscere due antigeni, uno sulle cellule tumorali e uno sui linfociti che sono così attivati contro il tumore.

Il mix dei due farmaci aveva permesso di ottenere una remissione completa della leucemia nel 98% dei pazienti, di tutte le età, senza effetti collaterali rilevanti e senza dover ricorrere alla chemioterapia sistemica. I risultati dello studio, sostenuto nell’ambito di un programma “5 per mille” da Fondazione Airc e con il contributo di Amgen, sono stati pubblicati nel 2020 sul New England Journal of Medicine.

Ebbene, i dati di oltre quattro anni di follow-up dei pazienti (53 mesi), pubblicati sul Journal of Clinical Oncology, confermano l’efficacia di questa strategia terapeutica con percentuali di sopravvivenza tra il 75% e l’80%.

Lo studio ha anche mostrato che il 50% dei pazienti è stato trattato con la sola terapia combinata, senza dover ricorrere a chemioterapia o trapianto. La malattia è stata monitorata durante il trattamento con tecniche di biologia molecolare e nessuno dei pazienti con risposta molecolare profonda precoce ha presentato recidive.

Come spiega Robin Foà, professore emerito di Ematologia alla Sapienza, i risultati “sono i migliori fino a oggi ottenuti perché si sono mantenuti nel tempo e, soprattutto, a prescindere dall’età dei pazienti. Ciò dimostra che questa strategia terapeutica, basata su una terapia a base di un inibitore delle tirosin-chinasi e associata a un anticorpo immunoterapico bispecifico, rappresenta davvero il futuro della terapia per pazienti di tutte le età con leucemia linfoblastica acuta Philadelphia-positiva. La chemioterapia e il trapianto potranno dunque essere evitati in moltissimi pazienti”.

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