Europa in salute: le strategie per la competitività del pharma

Unione europea della salute. Se ne sente parlare spesso, ma a ridosso delle elezioni europee di giugno, è un concetto che sta prendendo sempre più forma. È quello di cui si è discusso all’evento “Europa in Salute: Sfide e opportunità per il futuro” organizzato da Eli Lilly, con il patrocinio di Parlamento e Commissione Europea, Regione Lazio, Farmindustria e Società Italiana di Farmacologia (SIF). Una riflessione tra istituzioni nazionali ed europee, comunità scientifica e associazioni sulle riforme strategiche da realizzare da qui al prossimo futuro per non perdere terreno rispetto ai competitori esteri.

La priorità è una: attrarre nuovi investimenti in R&D, stimolando al contempo una produzione crescente da parte del settore industriale. Dati alla mano, nel 2023 il settore farmaceutico ha generato nel vecchio continente un valore di 340 miliardi di euro e l’Italia, dobbiamo esserne orgogliosi, ne rappresenta la capofila con ben 50 miliardi di euro di valore di produzione di cui il 90% dedicati all’export.

Tuttavia, l’Ue sconta ancora un ampio divario di investimenti con un altro player globale, gli Usa. Non solo, “siamo anche dipendenti ormai per alcuni principi attivi da farmaci provenienti dall’estero”, avverte il sottosegretario al Ministero della Salute, Marcello Gemmato. “Siamo curiosi di capire quale direzione prenderà l’Europa all’indomani delle elezioni di giugno”.

Marcello Gemmato, sottosegretario alla Salute

 

Nel 2001 l’attrazione degli investimenti globali nel settore farmaceutico si concentrava per il 44% negli Stati Uniti e per il 41% nell’Ue. Un equilibrio che non c’è più, a favore della controparte americana e di alcuni mercati emergenti come quello cinese. Ad oggi, si registra una concentrazione di investimenti per il 52% negli States e solo per un 21% in Europa. Il risultato? Siamo dipendenti da alcuni principi attivi prodotti all’estero, in Cina o in India. È perciò necessaria una visione industriale di lungo periodo e un chiaro quadro normativo che premi l’innovazione e la ricerca per incrementare la competitività, l’autonomia e, più in generale, la crescita del mercato sanitario europeo.

In tale roadmap, l’Italia rappresenta un importante hub di innovazione, come ha ricordato il presidente di Eli Lilly, Ilya Yuffa, che ha dichiarato come il gruppo incrementerà nel nostro Paese il numero degli investimenti per un totale di 1,5 miliardi di euro, “dando in questo modo un boost alla produzione di alcuni farmaci”. Eppure, “l’Italia e l’Ue devono mirare ad una autonomia strategica anche da un punto di vista sanitario e farmaceutico”, sostiene il presidente della Commissione per le Politiche Europee alla Camera dei deputati, Alessandro Gigno Vigna. “In Italia, diverse aziende private sono partecipate da alcuni fondi, a loro volta partecipati da Stati Stranieri, dunque – mette in guardia Vigna – capita sovente che queste aziende non abbiano una partecipazione statale italiana bensì indiretta straniera. Lo Stato, laddove necessario, deve garantire il suo supporto”.

Strategia Farmaceutica Europea: attrarre innovazione e generare valore rafforzando l’alleanza tra industria e istituzioni

Nello specifico, l’incontro si è articolato su tre temi principali. Nel primo si è cercato di dare una risposta ad un quesito più generale: quale strategia farmaceutica europea? È chiaro, una spinta riformatrice è necessaria per colmare il gap tra Ue e Stati Uniti. Ciò impone tuttavia una profonda riflessione sul come rendere efficaci l’attrattività e l’autonomia del mercato farmaceutico e l’accesso tempestivo all’innovazione scientifica e terapeutica. Come attrarre innovazione, forgiando un’alleanza fra industria e associazioni? Sul tavolo la revisione della legislazione farmaceutica, con alcune disposizioni che destano perplessità e che rischiano, secondo le imprese, di disincentivare innovazione e investimenti nel lungo termine.

Tra le più rilevanti: le disposizioni che modificano il quadro normativo della proprietà intellettuale e l’estensione della cosiddetta clausola Bolard, che garantisce oggi la possibilità per chi produce farmaci generici di iniziare la sperimentazione due anni prima della scadenza brevettuale; la definizione dei bisogni medici insoddisfatti e l’ottimizzazione del processo decisionale da parte dell’ Agenzia europea per i medicinali (Ema) che ad oggi risulta ancora 45 giorni in media più lenta della Fda, la corrispettiva statunitense con impatti nefasti sulla competitività europea. L’Europa sconta inoltre una lentezza cronica rispetto anche ad altri paesi come Giappone, Canada e Australia.

Secondo Alessandra Moretti, europarlamentare dell’S&D “sarebbe necessario creare un’infrastruttura pubblica di ricerca, una realtà che sia in grado di stimolare R&D e di intervenire nelle aree più critiche, svolgendo un lavoro lungo tutta la catena produttiva”, mentre per l’ex direttore esecutivo dell’Ema Guido Rasi “i driver per rendere il mercato farmaceutico europeo più competitivo sono tre: ricerca, sviluppo e produzione. La produzione può trascinare le altre due ed essa dipende da investimenti locali. Per essere competitiva all’Europa manca una forte parte di venture capitale e questo non favorisce la nostra forza lavoro”.

Rasi sottolinea come nell’Ue manchi ancora un ecosistema favorevole pubblico-privato con regole chiare. “Per quanto riguarda la proprietà intellettuale poi – conclude Rasi – va semplificato il quadro legislativo di riferimento. A tal proposito, sarà necessario dare risorse adeguate alle autorità indipendenti”.

Secondo Ugo Capellacci, presidente Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, il problema del mercato farmaceutico italiano è di tipo culturale. “La spesa in salute è sempre stata considerata un costo. Oggi, però, il paradigma sta cambiando. Le spese sanitarie vanno considerate come dei veri e propri investimenti, tesi appurata dai dati. A fronte di un euro di spesa di investimenti, risparmi 1,5. Ancora, secondo la John Hopkins University ogni dollaro investito nei vaccini ne fa guadagnare 14 per mancata ospedalizzazione, salute, lavoro”.

Altro punto cruciale, condiviso da più parti, è il bisogno di non aggravare di direttive e regolamenti le aziende europee per stimolare l’innovazione. La posizione dell’industria italiana è limpida. “Bisogna tutelare la protezione intellettuale. Essa costituisce un elemento essenziale per produrre farmaci – chiarisce Enrica Giorgetti, direttore generale di Farmindustria – Per avere un ritorno sugli investimenti è necessario che la proprietà brevettuale sia mantenuta un numero di anni  sufficienti a garantire il recupero dei soldi investiti”.

Spazio Europeo dei Dati Sanitari e Regolamento Hta

Quali sono le prospettive per migliorare l’accesso e la cura ai pazienti? A sottolineare l’importanza dei dati per un trattamento più efficiente dei pazienti è stata Beatrice Lorenzin, senatrice, già ministra della Salute. “I dati sono il nostro petrolio, senza di essi non esiste una programmazione sanitaria. Senza dati molto banalmente non può essere fatta ricerca. Se per esempio dovessimo fare un HTA (health technology assessment) sull’impatto di un farmaco, e non abbiamo a disposizione dei dati stratificati, come potremmo mai farlo?”.

Secondo Lorenzin bisognerebbe prendere come riferimento la norma sui sand box dei dati finanziari anche per quelli sanitari, utilizzandoli, come accade nel fintech, per un tempo determinato, in uno spazio controllato dove fare sperimentazione. “Una soluzione operativa in vista di un nuovo regolamento europeo sulla privacy”, chiarisce Lorenzin.

Ma uno degli obiettivi del nuovo regolamento HTA è anche quello di accelerare e armonizzare il risultato della valutazione tecnico-scientifica delle terapie farmaceutiche. A questo proposito “non si può valutare un farmaco solo per un costo di sviluppo, ma anche per il suo impatto sociale ed economico”, sostiene il presidente della Società Italiana di Farmacologia (SIF), Giuseppe Cirino. “L’HTA non va pensato in modo rigido. Deve contenere degli elementi di dinamicità per essere adattabile a tutti i casi. È altresì importante che nell’HTA ci sia anche una valutazione clinica alla base”, aggiunge Cirino.

 Secondo il presidente eletto di ISPOR Italy – Rome Chapter, Andrea Marcellusi, “il nuovo regolamento HTA europeo segnerà uno spartiacque tra il prima e il dopo. Bisogna massimizzare gli outcome di salute attraverso la minimizzazione della spesa, oltre che valutare l’efficacia incrementale di una tecnologia”.

Si è infine discusso un punto cruciale: migliorare la capacità tecnica delle autorità indipendenti come Aifa. “Oggi, il prodotto della ricerca dell’azienda deve essere messo a disposizione dei pazienti  – suggerisce Federico Villa, Vicepresidente Corporate Affairs & Patient Access Eli Lilly – L’industria richiede inoltre un processo per reinvestire in R&D”.

Dal piano europeo per la lotta al cancro, a un nuovo approccio contro le malattie croniche

Infine, non possono non essere menzionate le strategie europee approntate contro la diffusione crescente di patologie croniche, diabete, obesità e demenze in prima linea, a cui è stato dedicato un panel a parte. I tempi sono ormai maturi per rilanciare un’azione europea coordinata attraverso una visione olistica e una strategia che integri diagnosi, trattamento, identificazione e prevenzione del paziente.

Un pensiero comune a tutti i relatori: pianificare molti altri interventi in futuro per combattere quella che viene chiamata la nuova “pandemia delle cronicità”, i “mali” del nostro tempo, principale causa dei decessi (90%) che assorbono circa l’80% dei costi sanitari

Quattro milioni di diabetici, un milioni di scompensati cardiaci, un milione e mezzo gli affetti da demenza, il 10% della popolazione obesa. Sono numeri da brividi e si riferiscono solo all’Italia. “Affrontare le cronicità è un tema anche di politica economica”, secondo Antonio Misiani, senatore. “La strategia giusta è quella di investire massicciamente sulla prevenzione”

“Il nostro sistema sanitario lo dobbiamo ripensare paziente-centrico – consiglia Elena Murelli, senatrice, nonché presidente dell’Intergruppo parlamentare per le Malattie Cardio, Cerebro e Vascolari – L’Italia sul campo delle demenze è sempre stata apripista. Abbiamo la capacità di comprendere queste patologie ma quello che paghiamo è ancora un ritardo nella digitalizzazione dei servizi”.

Insomma, il momento storico è importante, all’indomani degli effetti distruttivi della pandemia. E la partita vera si gioca in Europa: il Vecchio Continente non può perdere la sfida con il resto del mondo, in palio ci sono la salute e il futuro dei suoi abitanti.

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