Se le cellule immunitarie si ammalano, la mastocitosi sistemica

Massimo Triggiani
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Il sistema immunitario è fondamentale per difenderci dalle infezioni e dai tumori. Ma anche le cellule che lo compongono, i globuli bianchi, possono ammalarsi e questo porta a gravi problemi. È il caso delle malattie autoimmuni più note (artrite reumatoide, tiroiditi, morbo di Crohn) o, sul fronte oncologico, delle leucemie e dei linfomi. Molto meno noti sono invece i problemi che si creano quando ad ammalarsi sono i mastociti, un tipo particolare di globuli bianchi coinvolti normalmente oltre che nelle difese immunitarie, nelle reazioni allergiche.

La mastocitosi sistemica è una malattia rara che, nella sua forma grave (avanzata o aggressiva), interessa circa 500 italiani e in quella cosiddetta ‘indolente’, molto impattante sulla qualità di vita anche se non sulla sopravvivenza, circa 5.000 connazionali. Il punto delle conoscenze scientifiche su questa patologia molto giovane sul fronte della ricerca, della diagnosi e della terapia è stato fatto a Napoli, in occasione del convegno “Drive The Change – Avapritinib: guidare il cambiamento per costruire il futuro della mastocitosi sistemica”, che ha riunito i maggiori esperti italiani sull’argomento.

Una persona affetta da mastocitosi presenta una crescita incontrollata di mastociti che si accumulano nel midollo osseo (dove normalmente risiedono) o nella pelle, nel tratto digerente o in altri organi. Alcuni trigger possono ‘irritare’ i mastociti che quindi cominciano a rilasciare una serie di sostanze da loro prodotte, la più nota delle quali è l’istamina, ma anche leucotrieni, triptasi e citochine infiammatorie.

Questo provoca la comparsa di segni e sintomi simili a quelli di una reazione allergica (flushing o orticaria) o di una grave infiammazione, che può danneggiare una serie di organi. I fattori scatenanti delle crisi possono essere i più banali, quali l’alcol o i cibi piccanti, ma anche l’esercizio fisico, oppure la puntura di una vespa o ancora alcuni farmaci.

“A volte – spiega il professor Massimo Triggiani, ordinario di Medicina Interna Università di Salerno e direttore della Uoc di Diagnosi e terapia delle malattie allergiche e del sistema immunitario dell’AOU ‘San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona’ di Salerno – il campanello d’allarme può essere una grave reazione allergica, fino allo shock anafilattico, che fa seguito ad esempio ad una puntura di vespa. Altre volte i pazienti presentano crampi addominali violenti e una diarrea persistente e inspiegabile, o ancora una grave osteoporosi che, soprattutto nell’uomo, dovrebbe far insospettire. Altri ancora presentano un ingrossamento di fegato, milza e linfonodi; anemia e sanguinamenti”.

La mastocitosi è comunque imprevedibile: nell’arco di un’ora può cambiare la vita. E portare anche a morte nei casi più gravi, per shock anafilattico. Per questo è importante conoscerla e farla conoscere a livello di popolazione generale.

“I sintomi della malattia – ammette Patrizia Marcis, presidente di Asimas, Associazione Italiana Mastocitosi – possono essere dunque i più vari. Questi pazienti raccontano i loro sintomi al medico di famiglia, poi spesso inizia un lungo periodo di ‘nomadismo medico’, da uno specialista all’altro. E intano i pazienti vivono da incompresi, alternando sentimenti di desolazione, ad una grave destabilizzazione; vengono scambiati per depressi o ipocondriaci, possono avere problemi lavorativi, soprattutto legati a mansioni non adeguate alla loro condizione, o a scuola. A livello scolastico, è importante che il medico faccia una relazione sulla loro condizione, per farla conoscere ai professori e dar loro degli elementi di comprensione dei sintomi. Questi sono insomma pazienti rari, ancora misconosciuti e senza tutele. Da anni stiamo facendo pressioni perché la mastocitosi sistemica venga inserita nelle tabelle Inps”.

“La malattia può esordire a tutte le età – afferma la dottoressa Roberta Zanotti, presidente Rima, Rete Italiana Mastocitosi, che riunisce una trentina di centri italiani coinvolti della diagnosi e terapia di questa condizione – ma mentre le forme del bambino sono in genere limitate alla pelle (si manifestano con macchioline brunastre cutanee) e benigne (si risolvono spontaneamente in 3 casi su 4), quelle dell’adulto sono in genere ‘sistemiche’, cioè coinvolgono non solo la pelle ma diversi altri organi, come l’intestino, i linfonodi, il midollo osseo, dove i mastociti proliferano, occupando spazio e portando a insufficienza d’organo; nelle forme più aggressive possono dar luogo a vere e proprie forme leucemiche (leucemia mastocitaria). Per capire la gravità della malattia, basti pensare che nella forma avanzata e aggressiva la prognosi, prima dell’arrivo delle nuove terapie, era di 2-3 anni di vita”.

La mastocitosi sistemica nella maggior parte dei casi è legata alla mutazione del gene KIT che si acquisisce nel corso della vita (non è una malattia ereditaria e non viene dunque trasmessa dai genitori). “Questo gene – spiega il professor Triggiani – codifica per un recettore espresso sulla superficie dei mastociti che normalmente lega lo Stem Cell Factor, un fattore che controlla la proliferazione e la differenziazione dei mastociti. In presenza di questa mutazione (detta D816V) il recettore si ‘auto-attiva’, facendo proliferare i mastociti e liberando i mediatori (istamina, triptasi, ecc), che provocano i sintomi e i danni della malattia, in forma più o meno grave nelle diverse forme di mastocitosi”.

Per la diagnosi si ricorre ad esami del sangue (dosaggio della triptasi), biopsia midollare o degli organi interessati dall’accumulo di mastocito (pelle, fegato, ecc), esami di imaging (ecografia, TAC ecc) e al test genetico che rivela la presenza della mutazione driver della malattia.

Il trattamento di questa condizione è stato affidato fino a qualche tempo fa a farmaci sintomatici come gli antistaminici, o a farmaci per ridurre l’acidità gastrica; vengono usati anche cortisonici per contrastare l’effetto delle sostanze infiammatorie rilasciate dai mastociti. I progressi della ricerca hanno messo a disposizione dei pazienti (per ora quelli con la forma più grave di malattia, la mastocitosi sistemica aggressiva) una terapia a target, mirata proprio alla mutazione alla base della malattia. È l’avapritinib, disponibile da un anno, anche per i pazienti italiani.

“Si tratta di una terapia in compresse – spiega il professor Triggiani – una ‘piccola molecola’, in grado di legarsi al recettore KIT mutato, in modo selettivo, ‘spegnendolo’, cioè bloccandone l’auto-attivazione. In questo modo si impedisce la proliferazione clonale dei mastociti e la liberazione dei mediatori infiammatori. L’effetto di questa terapia – prosegue Triggiani – è rapido e duraturo (secondo quando emerso dagli studi a tre anni); il farmaco presenta inoltre un ottimo profilo di sicurezza, rispetto ad altri farmaci citoriduttivi e citostatici e risulta efficace in almeno il 70% dei pazienti”.

La mastocitosi sistemica insomma, pur essendo una malattia molto ‘giovane’ dal punto di vista delle conoscenze scientifiche, dispone oggi di un percorso diagnostico preciso e di una terapia a target, avapritinib, disponibile in Italia per ora solo per la mastocitosi sistemica avanzata. Il farmaco, oltre a controllare le manifestazioni più gravi, ha un effetto disease modifying, impatta cioè sull’aspettativa di vita dei pazienti con le forme più aggressive di malattia.

Ma ci sono buone notizie all’orizzonte anche per i soggetti affetti da forma ‘indolente’, nei quali la malattia può comunque risultare devastante sulla qualità di vita. Negli ultimi mesi infatti l’Ema (Agenzia europea dei medicinali) ha infatti ampliato l’indicazione al trattamento con avapritinib anche alle forme indolenti; adesso si attende l’autorizzazione Aifa.

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