Caso tiramisù, allergia al latte uccide 3-4 persone l’anno

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Il caso del tiramisù contaminato collegato alla morte di una giovane donna a Milano ha preoccupato allergici e intolleranti di tutta Italia. “Ma è bene chiarire che in questa vicenda l’intolleranza al lattosio non c’entra nulla: qui si tratta di allergia al latte. Il lattosio dà un’intolleranza, ma non è responsabile di anafilassi“, precisa a Fortune Italia Alessandro Fiocchi, direttore Allergologia dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.

“L’allergia al latte IgE mediata, che può dare reazioni gravi, colpisce l’1-3% dei bambini piccoli e va scemando con la crescita – dice Fiocchi – a 18 anni siamo allo 0,3% che è ancora allergico. Tuttavia, se si vanno a prendere le reazioni mortali da allergeni, il latte insieme con l’arachide è al primo posto. Sappiamo che in Italia in media si verificano 3-4 reazioni mortali l’anno”.

La vicenda

Tutto nasce dalla morte di una ragazza di 20 anni all’ospedale San Raffaele di Milano, dopo dieci giorni di coma per uno shock anafilattico scatenato – a quanto si sospetta – dal consumo di un tiramisù vegano contaminato. Le prime analisi qualitative avrebbero infatti mostrato la presenza di proteine del latte, a cui la ragazza era allergica fin dalla nascita.

Il prodotto – ‘Tiramisun’ a marchio Mascherpa tiramisù – è stato ritirato dal mercato dal ministero della Salute per la “presenza di allergene” non indicati in etichetta, ovvero proteine del latte.

Da successivi accertamenti sarebbe emerso però che la giovane aveva anche un’allergia all’uovo: ne sarebbero state trovate tracce nella maionese usata per condire un panino che la ragazza ha mangiato nella stessa sera. Ulteriori approfondimenti, dunque, dovranno chiarire se anche questo aspetto possa essere collegato alla morte.

La contaminazione

“Cancelliamo due parole da questa vicenda: intolleranza e lattosio. A dare shock anafilattico è l’allergia al latte – continua Fiocchi – e quello che è successo sottolinea l’importanza di indicare in etichetta non solo i contaminanti, ma anche la possibile presenza di tracce. Nel caso specifico pare sia già emersa la presenza di latte nel tiramisù vegano”, che per essere tale non deve contenere latte.

“Questo può essere accaduto solo attraverso una contaminazione di processo. Se non c’è stato un errore di etichettatura, cosa che pure talvolta è capitata, la quantità di contaminante presente non può essere stata così piccola come è stato adombrato dai primi resoconti di stampa: non può essere questione di picogrammi – precisa l’allergolo – ma di milligrammi, perché al di sotto delle 5 parti per milione non si è mai verificato nulla di simile“.

Far west per gli allergici

Ma come essere davvero sicuri, in caso di allergie alimentari? “Il problema è – dice Fiocchi – che non c’è nessuna legislazione nella Comunità europea che definisce la necessità di identificare con un’etichettatura precauzionale livelli di contaminazione da allergeni che possono essere preoccupanti per persone estremamente sensibili. Così ci troviamo di fronte a un far west”.

“Di solito – rileva l’esperto – l’approccio è opposto: gli uffici legali delle aziende le obbligano a segnalare in etichetta la possibile presenza di contaminazioni anche nel caso di alimenti che non hanno mai visto l’allergene. Questo crea un grosso problema per i pazienti, che si trovano limitati nella scelta. Questa volta però, se il problema è davvero legato alla presenza del latte nel tiramisù, il caso è ancora più grave”.

Se Europa e Stati Uniti sono indietro, “il Paese che ha legiferato in modo adeguato è il Giappone, che obbliga le aziende a misurare la quantità di allergeni presenti nei cibi”, conclude Fiocchi. Se questo fosse fatto a livello di screening a campione nei prodotti, il consumatore allergico sarebbe “al sicuro”.

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