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Il 5g fa male alla salute?

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Il 5g fa male alla salute? Le onde millimetriche sono sicure? Quali effetti hanno? Il terreno è inesplorato. Ecco le valutazioni di Iss e Istituto Ramazzini.

“Le compagnie telefoniche mettano a disposizione un po’ del proprio capitale per realizzare una ricerca adeguata sugli effetti sulla salute del 5g”. A lanciare l’appello è Fiorella Belpoggi, direttrice dell’Istituto Ramazzini di Bologna, che è stato protagonista di uno studio sperimentale in cui si riscontrano i tumori correlati all’esposizione alle onde elettromagnetiche. A stretto giro, a distanza, arriva la risposta del numero uno in Italia di Huawei, Luigi De Vecchis che non si tira indietro: “siamo favorevoli alla realizzazione di iniziative che vadano in questa direzione, in cui ognuno, anche Huawei, può fare la sua parte in funzione del proprio ruolo. È un tema che deve essere affrontato dalla comunità scientifica e industriale a livello globale”, chiarisce. Parliamo di 5G ed effetti sulla salute, ovvero un terreno del tutto inesplorato.

Gli studi compiuti finora, infatti, riguardano il 2g e il 3g. In questi casi vanno distinti gli effetti a breve termine (di natura termica) da quelli a lungo termine. Per quanto riguarda gli effetti termici derivanti dal riscaldamento dei tessuti ci sono degli standard condivisi a livello internazionale da rispettare. E per scongiurare rischi per la salute è stato definito un criterio: si chiama Sar, ovvero Specific assorbition rate, in italiano tasso di assorbimento specifico. La raccomandazione stabilita dagli organismi internazionali è di 2 W/kg. Fin qui gli effetti a breve termine scientificamente accertati. E quelli a lungo termine?

Fino al 3g gli effetti sulle onde elettromagnetiche sono stati studiati. “Già nei primi anni 2000 sono stati realizzati degli studi sui manager delle industrie che viaggiavano coi cellulari negli anni Novanta”, spiega Belpoggi, che sintetizza così l’esito di tali ricerche: “nelle persone che si esponevano almeno 6 ore al giorno per 10 anni è stato riscontrato un aumento dei tumori del cervello, dei nervi delle orecchie e della ghiandole sottomandibolare”. Come spiega Alessandro Polichetti, del Centro nazionale per la protezione dalle radiazioni dell’Iss (Istituto superiore di sanità), tale studio – denominato Interphone e coordinato dallo Iarc – ha evidenziato un’associazione statistica tra l’esposizione a telefono cellulare e aumento dell’insorgenza di tumori, in modo particolare del glioma e del neurinoma del nervo acustico. “Il rischio aumentava del 40% tra i soggetti che utilizzavano il telefono cellulare per più di 1600 ore“, spiega Polichetti, che chiarisce: “si tratta di una correlazione statistica di certo significativa”. Eppure lo Iarc, all’indomani di quella ricerca, parlò di “evidenza di rischio limitata”. Perché? Il ragionamento che sta alla base di ciò è il fatto che “sì, potrebbe esserci una correlazione causa-effetto” ma potrebbe esserci, puntualizza Polichetti, “anche una da distorsione da ricordo (siccome la ricerca veniva svolta su un gruppo di persone già malate, secondo questa tesi, per capire l’origine del tumore, una parte degli intervistati tendeva a dire che aveva utilizzato di più il cellulare rispetto al reale)”.

Resta il fatto che il 2011, in questa storia, rimane una data importante: è l’anno in cui l’agenzia internazionale per la Ricerca sul cancro – Iarc – appunto valuta l’evidenza di prove di rischio per la salute. Lo Iarc definisce così come possibilmente cancerogene le onde elettromagnetiche dei telefoni cellulari. Tanto per capire meglio, in una scala a tre – agenti classificati dallo Iarc come cancerogeni, probabilmente cancerogeni e possibilmente cancerogeni – i campi elettromagnetici rientrano in questa terza categoria.

Dopo il 2011 sono stati fatti altri studi sia sperimentali che epidemiologici. “Sono stati fatti studi sulla popolazione generale in cui è stato riscontrato che il glioma non è aumentato”, chiarisce Polichetti, mentre al contrario sono stati condotti studi sperimentali – uno dell’Istituto Ramazzini di Bologna e uno del National Toxicology Program negli States – che hanno rafforzato la tesi del 2011, anche se – chiarisce bene Polichetti – “lo studio singolo non basta a risolvere il tema della cancerogenicità delle onde elettromagnetiche”. Cosa ha scoperto il National toxicology program? “L’Ntp ha riscontrato un aumento dei tumori (neurinoma dei tessuti cardiaci) sui ratti maschi ma va detto che nello studio gli animali sono stati sottoposti a un’esposizione prolungata delle onde elettromagnetiche ma con valori di Sar pari a 6 w/kg, ovvero tre volte più elevati rispetto alla soglia prevista dagli standard internazionali). “Inoltre nelle ricerche – continua Polichetti – i ratti venivano esposti per interi alle onde; al contrario nell’uomo è la testa che viene sottoposta in modo particolare alle onde e comunque con un SAR che rimane inferiore ai 2 w/kg”.

L’esposizione non riguarda solo i telefoni cellulari ma anche le antenne che mandano il segnale. “Noi al Ramazzini – spiega ancora la Belpoggi – abbiamo studiato gli effetti delle antenne della telefonia mobile. A differenza degli americani che hanno studiato delle dosi molto alte, ‘non uomo equivalenti’ (l’Ntp, infatti, come abbiamo visto, ha usato un Sar più elevato), il nostro studio era uomo equivalente”. E cosa è stato riscontrato? “Abbiamo visto un aumento dei tumori, in modo particolare del glioma (tumore maligno del cervello) e di schwannomi maligni, (tumori rari delle cellule nervose del cuore)”. La frequenza è più alta, è vero, ma la potenza sarà più limitata perché devono coprire aree di territorio più piccole. “Le onde elettromagnetiche di così elevata frequenza, infatti, durante la loro propagazione – ci spiega Polichetti – non riescono a penetrare attraverso edifici e vengono assorbite facilmente dalla pioggia e dalle foglie. Per questo motivo l’utilizzo di tali onde renderà necessario installare numerosi ripetitori che serviranno le cosiddette ‘small cells’, aree di territorio che possono arrivare a un raggio di 2km”.

E queste onde come si comportano nei confronti dell’organismo umano? “Le onde millimetriche con potenza più elevata in parte vengono respinte e in parte vengono assorbite a livello della pelle”, racconta Polichetti. “Sono le stesse utilizzate nei body scanner degli aeroporti”. Le onde millimetriche penetrano a 1mm di profondità sotto la pelle. “Il fatto che non entrino nel corpo non vuol dire che non siano pericolose ma se dobbiamo fare delle verifiche dobbiamo farlo a livello della pelle”, mette in evidenza Polichetti. “Non ci sono, al momento – taglia corto – sulla base delle conoscenze scientifiche ragioni per pensare che il 5g sia pericoloso per la salute”.

Tante piccole celle di dimensioni inferiori e quindi più antenne telefoniche. In Italia vige il criterio dei 6 v/m stabilito dalla legge. È il campo elettrico che non bisogna superare. I limiti internazionali prevedono 60 volt al metro per le antenne fisse. E qui si apre un capitolo molto delicato. Le compagnie telefoniche stanno già chiedendo al nostro Paese di adeguarsi agli standard previsti negli altri Paesi. Cosa succederà? “Noi – spiega Polichetti dell’ISS – non diciamo che vanno aumentati o ridotti. È una scelta politica visto che – chiarisce – il valore dei 6v/m è arbitrario e non ha alcun riscontro a livello scientifico”.

Di certo, con il 5G profileranno le antenne. “Se i piani del settore delle telecomunicazioni per il 5G si realizzeranno, nessuna persona, nessun animale e nessuna pianta sulla Terra sarà in grado di evitare l’esposizione, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno, a livelli di radiazione a radiofrequenza maggiori di quelli esistenti oggi. Saremo sempre più esposti, involontariamente”, mette in guardia Belpoggi. “Col 5G – continua – anche il più piccolo lombrico verrà coinvolto dalla propagazione delle onde millimetriche”. E cosa sappiamo delle onde 5G, dal punto di vista della salute? “Sia noi che gli americani abbiamo riscontrato tumori per 2 e 3g. Sono studi che non possono essere ignorati. Sicuramente le radiofrequenze hanno un effetto cancerogeno anche se di bassa entità. Non è escluso che le onde millimetriche abbiano un effetto persino sul sistema immunitario”, alza il tiro la Belpoggi che lancia un invito: “le istituzioni chiedano all’industria di investire sulla ricerca scientifica. La tecnologia avanza ma noi consumatori continuiamo a non chiedere nulla. Arriverà il 5g, il 6g, ma senza certezze”. Serve una prova di sicurezza, nel nome della quinta generazione.

 

Articolo di Salvo Ingargiola apparso sul numero di Fortune Italia di giugno 2019.

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