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Coronavirus, Vella: “Vaccino non mancherà, obbligo per alcune categorie”

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Non vede il rischio di una carenza di vaccino, crede che alla fine la risposta della popolazione ci sarà, ma ritiene utile pensare all’obbligo di vaccinazione per alcune categorie. Il Coronavirus, però, va affrontato a livello globale e con decisione. Perché il costo, anche economico, di un lockdown a singhiozzo può rivelarsi più alto di quello di un lockdown generalizzato. Parlare di vaccino contro il Coronavirus con Stefano Vella, infettivologo e docente di Salute Globale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, vuol dire entrare nei meccanismi che regolano la risposta scientifica alla pandemia per archiviare in maniera netta equivoci, incomprensioni e mistificazioni.

 

È stato presidente dell’IAS (International Aids Society) dal 2000 al 2002, al momento della crescita esponenziale dell’epidemia da Hiv/aids, poi direttore del Dipartimento del Farmaco presso l’Istituto Superiore di Sanità (2003-2016) e direttore del Centro per la Salute Globale dello stesso Istituto. È stato presidente dell’Aifa nel biennio 2017-2018. Ha tutta l’esperienza che serve per parlare della lotta al Coronavirus senza fare sconti a nessuno.

 

Partendo dalla velocità con cui si è arrivati all’approvazione dei vaccini. “La gente si è sopresa, ma non è così strano, perchè c’è stato un progresso incredibile nella ricerca”. L’utilizzo dell’Rna, una “tecnologia vecchissima che ha prodotto farmaci straordinari”, è stato naturale: “Non è strano che si sia subito pensato di utilizzarlo per il vaccino, non si è dovuto inventare nulla”. Poi, l’accelerazione della sperimentazione. È sempre rigorosa, con la differenza che “prima era organizzata in fasi lunghissime che ora vengono sovrapposte”. Non solo. Una malattia come il Coronavirus “ha consentito di arruolare pazienti in tempi brevissimi e anche i risultati della sperimentazione si vedono subito, considerato il rapido decorso della malattia”. Anche le agenzie regolatorie hanno fatto la loro parte. “I dati sono gli stessi per tutte”, premette Vella, per evidenziare, riferendosi al caso legato al vaccino AstraZeneca-Oxford, che “l’Ema non è in ritardo” e che il criterio fondamentale resta la verifica dell’efficacia e della sicurezza, perché è bene ricordare che “a differenza dei farmaci, che vanno ai malati, i vaccini vanno somministrati alle persone sane”.

 

È importante ora considerare anche quali sono gli obiettivi reali della campagna di vaccinazione. “Quello principale è proteggere chi non si deve ammalare, l’immunità di gregge verrà dopo”, spiega Vella, evidenziando però che c’è un tema da affrontare: “Non ci sono solo gli anziani, ma tutte le persone che a prescindere dall’età hanno patologie croniche pregresse. Ed è compito della commissione dell’Aifa declinare correttamente anche questo aspetto”.

 

Vella non vede comunque il rischio che ci possa essere una carenza di dosi di vaccino in Italia. “Penso di no, arriverà AstraZenenca e arriveranno altri vaccini. Ci sono 136 vaccini in fase di sviluppo, è anche stupida la corsa a chi si dota del vaccino migliore”. Anche sulla risposta alla campagna di vaccinazione, l’ex presidente dell’Aifa mostra ottimismo: “Alla fine i risultati ci saranno”. Anche senza prevedere alcun obbligo? “Per alcune categorie a maggiore contatto con i pazienti, si può considerare che la vaccinazione diventi obbligatoria”.

 

Guardando invece allo sviluppo della pandemia, Vella mostra diverse perplessità rispetto alle scelte fatte per contenerla. Partendo da una valutazione di fondo. “I costi di lockdown incompleti, corti e saltuari, possono essere più alti di quelli di un lockdown serio, non solo in termini di morti ma anche di perdite economiche progressive”. Vella usa una similitudine medica. “È come estirpare un tumore all’inizio della sua evoluzione, se lo trascini il rischio è che si propaghi di più”. Poi, c’è un problema di approccio complessivo. “Siamo partiti dal un concetto local, il Coronavirus di Wuhan, poi abbiamo capito che il problema era globale, ora siamo tornati a una visione local ma non si può pensare di fermare una pandemia Stato per Stato. È necessario bloccarla a livello globale, altrimenti tornerà”. Quello che serve, subito, è la preparedness: “Bisogna essere preparati a fronteggiare le epidemie, con una rete di sorveglianza e di risposta adeguate”.

 

L’impatto di una pandemia “va ben oltre i suoi effetti immediati” e le attuali capacità di preparedness “si sono rivelate inadeguate”. Vanno migliorate e condivise, perché “il ritorno degli investimenti nella sicurezza della salute globale sono immensi”. Basta ricordare, conclude Vella, che “le spese per la prevenzione sono conteggiate in milioni di dollari e i costi della pandemia in migliaia di miliardi”.

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