Covid, tra varianti e lockdown il governo scivola sullo sci

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L’allarme suscitato dalle varianti di Covid-19 – quella inglese sarebbe il 50% più contagiosa, ma secondo un rapporto riservato anche più letale – fa moltiplicare gli appelli per un nuovo lockdown. Alla voce di Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza, si uniscono – tra gli altri – anche Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, e Andrea Crisanti, ordinario di microbiologia all’Università di Padova.

Ricciardi ieri sera a ‘Che tempo che fa’ è tornato a spiegare le motivazioni della sua posizione. E Cartabellotta, intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta” su Radio Cusano Campus, concorda. Un “lockdown totale per 2 settimane farebbe abbassare la curva per poter riprendere il tracciamento, altrimenti bisognerà continuare con stop&go per tutto il 2021. Immaginare che la somministrazione del vaccino possa far migliorare la situazione è molto difficile, sia per come sta procedendo, sia per l’incognita varianti. L’obiettivo – ha ribadito il presidente della Fondazione Gimbe – dovrebbe essere far circolare il virus meno possibile e non abbassare il carico sugli ospedali, tutti i Paesi invece hanno scelto la seconda via”.

Dunque “al di là della sintonia con Ricciardi su una serie di idee, credo che il suo ragionamento sia allineato con quello che abbiamo pubblicato prima del periodo natalizio. Dobbiamo decidere se siamo disponibili ad accettare una restrizione maggiore per abbassare la curva, oppure se accettiamo di avere un 2021 che andrà avanti con stop&go”, si chiede Cartabellotta.

“Siamo nei guai”, ha sintetizzato alla ‘Stampa’ Crisanti, condividendo senza se e senza ma l’idea del lockdown. E giudicando inevitabile e necessario lo stop allo sci. Una decisione, questa, arrivata però come una doccia fredda a 24 ore dalla riapertura, dopo gli annunci delle scorse settimane. E (soprattutto) dopo che si era lavorato per approntare gli impianti e dopo che molti appassionati avevano preso d’assalto i siti per prenotare skipass e abbonamenti. A spingere Roberto Speranza a firmare il provvedimento, che vieta lo sci fino al 5 marzo, il verbale del Comitato tecnico scientifico che sconsigliava l’apertura degli impianti proprio tenuto conto dell’emergenza legata alle varianti. Un documento che risale al 12 febbraio. Ma se è stato corretto fermare tutto, davvero non si poteva comunicare prima lo stop allo sci?

Gli allarmi sui rischi legati alle varianti e alla loro diffusione non sono arrivati l’altro ieri, ma si sono moltiplicati nelle ultime settimane. E, considerati i dati sulla diffusione di Covid nelle regioni (anche quelle gialle) – a un occhio attento l’idea della riapertura delle piste sembrava in effetti improvvida. Da ultimo ricordiamo che non sono mancati gli appelli degli esperti (Ricciardi fra tutti), convinti che il via libera non fosse opportuno. Ma in effetti ai gestori degli impianti (e agli sciatori) sono arrivate rassicurazioni quasi fino all’ultimo minuto. E’ proprio questa modalità di comunicazione ad aver scatenato le ire del popolo dello sci, e dei governatori del Nord. Al di là delle (doverose) rassicurazioni sui ristori.

C’è da chiedersi se lo stop – necessario secondo gli esperti, in un momento in cui l’Italia conta ancora decine di migliaia di nuovi contagi al giorno e centinaia di morti – non poteva essere comunicato prima. Fermando la corsa agli skipass ed evitando tanto lavoro inutile sulle piste. L’idea che, in piena crisi di governo, certe decisioni siano state (temporaneamente?) messe da parte, non rasserena. Così ‘il cetriolo’ alla fine è rimasto in mano a Speranza. Ma in un clima di tensione e stanchezza, le decisioni repentine e calate dall’alto rischiano di creare irritazione e scontento. Molto più di quelle motivate con accuratezza e in anticipo, e prese per tempo. Scivoloni simili rischiano di costare parecchio in termini di consenso (basta leggere le chat degli sciatori).

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