Giornata mondiale delle epatiti, progressi in ricerca e cura

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‘L’epatite non può attendere!’ è il tema della Giornata mondiale delle epatiti, un momento per celebrare i tanti progressi fatti in questo campo, ma anche per continuare a fare awareness e ricordare a tutti che resta ancora molto da fare nel campo della prevenzione, diagnosi e trattamento di queste condizioni.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha fissato per il 2030 l’ambizioso traguardo dell’eliminazione globale delle epatiti virali nel mondo, ha scelto il 28 luglio per ricordare il compleanno del premio Nobel Baruch Blumberg che, dopo aver scoperto il virus dell’epatite B, ha messo a punto un test per la diagnosi di questa infezione e un vaccino.

“La risoluzione dell’Oms 63.18 del 2010 – ricorda Antonio Gasbarrini, direttore del Dipartimento di scienze mediche e chirurgiche della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e ordinario di Medicina Interna dell’Università Cattolica, campus di Roma – prevede l’eliminazione delle epatiti da virus B (Hbv) e C (Hcv) a livello mondiale entro il 2030. Dopo la lunga battaglia contro l’Hbv, iniziata nel 1991 con la vaccinazione obbligatoria per tutti i nuovi nati dal primo anno di vita, che ha portato ad un crollo di queste infezioni e dei correlati casi di cirrosi, epatocarcinomi e trapianti da Hbv, adesso è il momento di agire contro le epatiti da virus C”.

“La rivoluzione – ricorda il professor Gasbarrini – è cominciata nel 2011 con l’arrivo dei primi antivirali ad azione diretta appartenenti alla classe degli inibitori delle proteasi, attualmente non più utilizzati, in quanto superati dalle nuove generazioni di farmaci, la cui efficacia è sbalorditiva (superano il 97-98% di eradicazione del virus). La durata del ciclo di terapia si è attualmente ridotta a 8-12 settimane e con minimi effetti collaterali”.

E i risultati delle campagne anti-epatite C cominciano infatti a vedersi. “Questo programma, nato appena una decina di anni fa – sottolinea il Gasbarrini – ha già portato ad una netta riduzione dei ricoveri per complicanze avanzate dell’infezione da Hcv e un calo dei trapianti di fegato ad essa correlati. Non servono dunque tanti anni per vedere i risultati di un programma di eliminazione su scala nazionale”.

In Italia si stimavano in principio oltre un milione di infetti; con queste terapie eradicanti ne sono stati trattati circa 225.000. Considerando che i pazienti più anziani da allora sono deceduti, si può quindi stimare che nel nostro Paese vi siano ancora circa 500-600 mila infetti, il 70% dei quali non sa di esserlo (in un’elevata percentuale di casi questa malattia è asintomatica).

“L’obiettivo – prosegue il professor Gasbarrini – è dunque quello di identificare entro i prossimi 3 anni, tutti i portatori di Hcv per eradicare il grande serbatoio di infezione presente nel nostro Paese”.

E la battaglia entra oggi in una seconda fase, con lo stanziamento di circa 70 milioni di euro per realizzare una campagna di screening capillare, che consentirà di portare a termine il piano di eradicazione globale nel nostro Paese. Lo screening sarà rivolto ai soggetti ancora asintomatici (nati negli anni tra il 1969 e il 1989) e ai soggetti delle key populations, quali quelli seguiti dai servizi pubblici per le Dipendenze e ai detenuti in carcere.

La lotta alle epatiti passa per la diagnosi precoce delle infezioni. “La campagna di screening che sta per essere attuata – sottolinea Francesca Ponziani dell’Ambulatorio di Epatologia della Fondazione Policlinico Gemelli e membro del consiglio direttivo dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato – è un’occasione unica per raggiungere quella fetta di popolazione che è ignara di aver contratto l’infezione ed evitarne quindi le conseguenze a lungo termine”.

“Abbiamo a disposizione test semplici, come quello sierologico (ricerca di anticorpi nel sangue), e la possibilità di valutare la presenza del virus nel sangue in coloro che risultano positivi mediante reflex test immediato (o test capillare, che si effettua su una goccia di sangue del polpastrello). Aisf, Simit ed altre associazioni scientifiche e di pazienti, come EpaC, si stanno muovendo insieme ai medici di medicina generale e alle strutture regionali preposte per accelerare l’avvio della campagna. Tutti stanno facendo un grande sforzo di networking e cooperazione, per offrire ai cittadini la possibilità di accedere allo screening e raggiungere l’obiettivo dell’Oms nei tempi prefissati”

E anche la Fondazione Policlinico Gemelli sta facendo la sua parte nella lotta contro le epatiti virali.

“Ad oggi in Italia sono stati avviati oltre 225.000 trattamenti con antivirali diretti per l’infezione Hcv – ricorda Maurizio Pompili, direttore dell’UOS Dipartimento ecografia diagnostica ed interventistica dell’apparato digerente della Fondazione Policlinico Gemelli – In questi anni anche la Fondazione ha fatto la sua parte poiché negli ambulatori di malattie del fegato e di malattie infettive sono stati trattati quasi 2.000 pazienti con una percentuale di successo pari al 98% nella popolazione generale trattata e del 100% in gruppi particolari di pazienti problematici come gli emodializzati, i trapiantati di rene e i soggetti con linfomi Hcv-relati”

E i risultati delle campagne contro le epatiti stanno cambiando anche l’identikit dei candidati al trapianto di fegato.

“I successi terapeutici nella gestione delle infezioni da Hcv e da Hbv – afferma Antonio Grieco, direttore dell’Uoc di Medicina interna e del trapianto di fegato della Fondazione Policlinico Gemelli e docente di Medicina Interna e Geriatria all’Università Cattolic – stanno producendo un sensibile cambiamento dello scenario del trapianto di fegato. Dati dello European Oltre Transplant Registry del 2019, pubblicati su una delle più prestigiose riviste di Epatologia, dimostrano chiaramente come dal 2014 in poi, vi sia stato un crollo nella percentuale della eziologia virale fra i pazienti trapiantati di fegato, a fronte di uno speculare incremento della percentuale di pazienti con eziologia metabolica e Nash”.

“Ma il successo della terapia antivirale, in grado di guarire un’infezione da Hcv, sta producendo anche un altro non trascurabile risultato nell’economia del trapianto di fegato: l’ampliamento del numero di organi potenzialmente utilizzabili (sempre insufficienti rispetto alla domanda), con la possibilità di utilizzare organi Hcv positivi ma senza danno epatico, con la prospettiva della cura dopo il trapianto”.

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