Covid, il ruolo protettivo dell’istruzione. Studio a Roma

Covid a Roma
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Sembra quasi incredibile, ma anche il livello di istruzione gioca un ruolo nel rischio di infezione e conseguenze gravi da Covid-19. Ad accendere i riflettori sul fenomeno è un singolare studio condotto dal Dipartimento di Epidemiologia (Del) del Servizio sanitario Regionale del Lazio, condotto sulla popolazione romana.

I ricercatori internazionali hanno da qualche tempo iniziato a studiare l’influenza dei determinanti sociali sull’evoluzione e sull’impatto della pandemia di Covid-19. Il Dep del Lazio ha cercato di capire se ci fosse una differenza relativa al livello di istruzione nell’incidenza dell’infezione e nella mortalità entro 30 giorni dall’insorgenza di Covid, analizzando una coorte di 1.538.231 residenti a Roma con più di 35 anni, seguiti dal 1 marzo al 31 dicembre 2020.

I risultati hanno mostrato 47.736 casi Covid e 2281 decessi. Ebbene, i ricercatori segnalano che la seconda ondata della pandemia a Roma ha avuto un’incidenza dell’infezione molto più alta, mentre la mortalità è stata maggiore nella prima. Complessivamente però “ci sono state forti disuguaglianze socioeconomiche nell’incidenza dell’infezione”. Ma a stupire di più è il fatto che l’associazione tra il livello di istruzione e l’incidenza di casi Covid è cambiata nel tempo.

Fino a maggio 2020, gli individui con un’istruzione medio-bassa hanno avuto un rischio di infezione da Covid inferiore rispetto a quelli con un’istruzione elevata. Ma da settembre a dicembre è accaduto il contrario: le persone con un basso livello di istruzione hanno avuto un rischio di infezione del 25% più alto rispetto a chi aveva un alto livello di istruzione. Insomma, con il passare del tempo e lamentare delle conoscenze sull’infezione da coronavirus, il maggior livello di istruzione si è rivelato un fattore ‘protettivo’.

Dall’indagine sono emerse anche delle disuguaglianze relative al livello di istruzione nella mortalità nell’ultimo trimestre del 2020. Secondo i ricercatori i risultati indicano che monitorare l‘effetto dei determinanti sociali sul rischio di infettarsi e di avere esiti negativi può essere di supporto alle politiche di controllo dell’epidemia. E, soprattutto, evidenziano la necessità di “interventi su comunità svantaggiate per prevenirne le conseguenze”, concludono gli autori.

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