Fibromialgia nemica delle donne, l’indagine

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Un nemico ‘invisibile’ della salute soprattutto delle donne, che comporta un pesante impatto sul lavoro e sulla vita sociale e famigliare. Su 2 milioni di italiani afflitti dalla fibromialgia, la maggior parte è costituita da donne intorno ai 40 anni. Costrette a fare i contri con dolori diffusi in tutto il corpo, in particolare schiena e cervicale, stanchezza, insonnia, depressione e ansia proprio in una fase della vita in cui avrebbero più bisogno di energie. Oltretutto ancora oggi spesso faticano ad essere ascoltate e credute.

Ad accendere i riflettori sulla fibromialgia è una recente survey dell’Istituto Piepoli, in collaborazione con Aisf Odv e il contributo non condizionante di Alfasigma. Così scopriamo che
un paziente su due con fibromialgia ritiene di avere uno stato di salute scadente, mentre solo il 14% si dichiara tutto sommato in buona salute.

Molti pazienti (circa la metà) si sentono limitati persino nel salire un piano di scale, e quasi tutti hanno limitato il lavoro insieme altre attività quotidiane. Il dolore e lo stato emotivo connessi alla malattia determinano, infatti, difficoltà nel lavoro in due casi su tre e nelle attività sociali nel 56% dei casi. Lo stato emotivo non migliora in modo rilevante col passare degli anni, come a dire che non ci si “abitua” alla malattia. Ad aggravare il quadro, 8 intervistati su 10 si sentano incompresi.

“Possiamo definirla una malattia invisibile, non ha un biomarcatore, un evidente danno clinico, non ha una cura – spiega Giusy Fabio, vicepresidente Aisf, associazione che riunisce pazienti con fibromialgia, medici, familiari, amici, professionisti e volontari – I pazienti sono considerati malati immaginari, ipocondriaci, visionari e il loro dolore, la loro sofferenza risulta agli occhi degli altri inventata. Anche perché, sebbene sempre più di frequente coinvolga anche gli uomini, a esserne colpite sono spesso donne apparentemente in salute e generalmente di bell’aspetto. Ancora oggi, alcuni medici sostengono che la fibromialgia non esiste, che non è una patologia, ma solo una moda”.

Proprio “l’incomprensione, il non ascolto, non essere capiti, frusta chi ne è affetto, creando un senso di solitudine che piano piano porta il paziente a isolarsi. Ecco che i rapporti si inclinano, il paziente si arrende e diventa totalmente succube della malattia. Servirebbe una campagna istituzionale di comunicazione per rimuovere lo stigma”, racconta.

Chi ne soffre, inoltre, anche perché poco sensibilizzato, di solito aspetta anche 5 anni prima di ottenere una diagnosi. I sintomi, oltre al dolore, sono spesso legati alla stanchezza e 9 su 10 soffrono di altre patologie. Circa 6 intervistati su 10 seguono una terapia farmacologica, e ben 8 su 10 assumono diversi integratori.

Fortunatamente, nella maggior parte dei casi, l’aderenza alla terapia è buona. “Molti pazienti fibromialgici usano farmaci e integratori che possono aiutarli nel migliorare il tono dell’umore e ridurre la stanchezza e il dolore, sintomi principali della malattia – indica Laura Bazzichi, Unità operativa di Reumatologia-Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana – Particolarmente utilizzata la molecola dell’acetil-L-carnitina che aiuta tantissimo, migliorando rapidamente l’umore, ristrutturando i muscoli e riducendo il dolore”.

Secondo l’indagine una quota rilevante dei pazienti (63%) sperimenta terapie alternative e tenta la via dell’attività sportiva regolare, in particolare yoga e pilates. “Una corretta gestione della sindrome fibromialgica dovrebbe prevedere un approccio integrato multispecialistico, basato su quattro pilastri – aggiunge Fabio – come, educazione del paziente, “fitness”, inteso come insieme della forma fisica e degli aspetti nutrizionali, farmacoterapia e psicoterapia, in cui un utilizzo appropriato dei farmaci si affianca a un percorso non farmacologico disegnato sulle esigenze del paziente”.

Punto di riferimento principale per i pazienti è il reumatologo (58% degli intervistati), ma è molto ascoltato anche il medico di base, con un livello di soddisfazione non molto elevato (41%). A mancare sono soprattutto l’empatia e la vicinanza.

“Dai dati emerge una propensione dei pazienti ad assumere farmaci per la modulazione del dolore (Ssr inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina, triciclici e miorilassanti) che servono anche come regolatori del tono dell’umore (antidepressivi) che, per mia esperienza, vengono di solito accettati a fatica – interviene Bazzichi – È inoltre un bene che il reumatologo venga visto come punto di riferimento, perché molto spesso è lo specialista più indicato per fare una diagnosi differenziale accurata. Affianco a questo però, molti pazienti hanno necessità di trovare anche nel medico di famiglia e in altri professionisti, supporto e comprensione a 360 gradi”. I caregiver, infine, sono presenti solo in 2 casi su 10 (di solito affiancano il paziente nelle attività quotidiane).

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