Lavoro, tutto quello che sappiamo sulla solitudine è sbagliato

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Di Ryan Jenkins e Steven Van Cohen*

 Non siete fatti per sentirvi soli”, ha detto il Ceo di una società di telecomunicazioni multimiliardaria, per cercare di combattere la solitudine dei suoi dipendenti.

Tuttavia, come persona che ha passato anni a studiare la solitudine e ha scritto il primo libro su come affrontarla sul posto di lavoro, posso dire con sicurezza che il nostro approccio è sbagliato.

In realtà, devi sentirti solo. Anzi, spero proprio che tu possa sperimentare la solitudine. Se provi quella sensazione, significa che il tuo cervello funziona. E un cervello funzionante è un cervello in buona salute. Immagino siate d’accordo con me.

I bisogni biologici di base dell’uomo come acqua, cibo e sonno sono tracciati sullo sfondo del nostro cervello da un complesso sistema omeostatico che ricerca un equilibrio naturale. I neuroscienziati del MIT, Kay Tye e Gillian Matthews, hanno dimostrato che esiste un sistema simile per le nostre relazioni sociali.

Lo stimolo che ci induce a mangiare e bere è simile a quello che ci spinge a connetterci e a parlare. In effetti, nel 2020, i ricercatori sono riusciti a dimostrare proprio questo: dopo 10 ore di isolamento sociale, i partecipanti all’esperimento hanno segnalato un aumento considerevole del desiderio sociale, della sensazione di solitudine, disagio e insofferenza per l’isolamento. Hanno mostrato anche minore felicità rispetto a quando hanno iniziato l’isolamento.

L’isolamento prolungato provoca il desiderio sociale, nello stesso modo in cui il digiuno provoca la fame. Così come la fame, la solitudine è la nostra spia biologica che ci invita a cercare la connessione con altre persone. È una forza motivazionale che ha lo scopo di creare relazioni forti. È il nostro promemoria innato che ci ricorda che la nostra presenza è importante per gli altri. E la prova che abbiamo bisogno l’uno dell’altro.

I nostri cervelli hanno una struttura biologica che ci spinge a desiderare di essere tutt’uno con il branco. La solitudine non è solo un fenomeno sociale, ma un’esigenza biologica. La ricerca dimostra che siamo fatti per sentirci soli.

Non sentirsi soli equivarrebbe a non avere mai sete, dimenticando così di bere acqua e poi crollando inconsapevolmente a causa della disidratazione. Solitudine a parte, ci allontaneremmo dagli altri diventando più isolati, frustrati, malati e insoddisfatti.

Le frasi motivazionali del tipo “non devi sentirti solo” confinano la solitudine nel solo fenomeno del silenzio, dimostrando così anche quanta consapevolezza sia necessaria quando si parla di solitudine sul lavoro.

Sebbene mosse da buone intenzioni, queste frasi proiettano involontariamente vergogna su chiunque si senta solo. Questo è anche il motivo che spinge molte persone a nascondere la solitudine e che perpetua una cultura di isolamento e di disconnessione.

Più a lungo gli Ad e i leader ignorano o affrontano solo a voce il tema della solitudine, più le persone continueranno a nascondere i loro sentimenti.

Per troppo tempo, la solitudine è stata avvolta dal sentimento della vergogna. È ora di liberarsene. La solitudine non è vergognosa. È un segnale che ci apparteniamo l’un l’altro e che stiamo meglio insieme.

Mentre la solitudine è una condizione umana universale, comune e utile, la scienza della solitudine è recente. A causa della natura soggettiva della solitudine e della difficoltà nel quantificarla, i neuroscienziati hanno evitato per lungo tempo di studiarla. Questo rende le recenti scoperte di Tye e Matthews davvero rivoluzionarie.

Dal momento che la ricerca e la scienza della solitudine sono così nuove, non possiamo aspettarci che i leader la comprendano appieno. Per molti, il primo passo per ridurre la sensazione di solitudine all’interno del proprio team è diventare consapevoli di quanto siano soli e disconnessi i propri colleghi, e quindi esplorare nuovi modi per coltivare di più il senso di appartenenza.

Comprendere che tutti noi sperimentiamo la solitudine è la base di partenza per iniziare a parlarne più apertamente e fare brainstorming su come coltivare più relazioni.

Ceo e leader ricoprono una posizione privilegiata per mitigare la solitudine che dilaga nella forza lavoro.

Soddisfare il desiderio umano di appartenenza non solo migliora il benessere degli individui, ma si traduce in un miglioramento della selezione, delle prestazioni, del coinvolgimento e della collaborazione tra i diversi membri del team.

Siamo fatti per sentirci soli perché siamo alla ricerca di legami significativi.

L’articolo originale è su Fortune.com.

*La CSP (Coordinatrice per la sicurezza) Ryan Jenkins e Steven Van Cohen (Esperto in Scienze dello sviluppo organizzativo) sono i fondatori di LessLonely.com, la risorsa numero uno al mondo per affrontare la solitudine sul posto di lavoro e creare maggior senso di appartenenza al proprio lavoro. Sono anche gli autori di Connectable: How Leaders Can Move Teams from Isolated to All InInsieme, hanno oltre venti anni di esperienza nell’aiutare organizzazioni come Coca-Cola , The Home Depot , State Farm, John Deere , Delta Air Lines e Salesforce a migliorare i loro team

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