Parkinson e farmaci, la promessa degli anticorpi monoclonali/VIDEO

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C’è ancora molto da scoprire sulla malattia di Parkinson, di cui oggi si celebra la Giornata mondiale, a partire dai numeri. Nei Paesi industrializzati ha un’incidenza di circa 12 casi su 100mila persone l’anno, ed è leggermente più frequente nel sesso maschile. Si tratta della malattia neurodegenerativa progressiva più diffusa, dopo l’Alzheimer, nel mondo. E questo fa capire chiaramente come l’assistenza dei pazienti sia destinata ad assorbire una fetta sempre più importante di risorse, in termini di terapie ma anche di assistenza.

Secondo stime dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore  (Altems) – risalenti però al 2015 – il carico totale per il Ssn relativo al Parkinson sia compreso fra 1,1 e 1,3 miliardi di euro e quello per la società fra 2.2 e 2.9 miliardi di euro. 

Non esistono dati certi circa il numero di malati in Italia, per cui si hanno solo stime basate sul consumo dei farmaci specifici. Queste vengono poi combinate con l’esenzione per patologia e le attestazioni Inps per invalidità e disabilità. Il conto finale parla di oltre mezzo milione di malati di Parkinson in Italia. Se i numeri sono in costante crescita, sul fronte della terapia, come su quello della ricerca, ci sono oggi notizie che fanno sperare.

“Per i pazienti che soffrono della malattia di Parkinson esistono delle buone terapie sintomatiche” spiega Fabrizio Stocchi, direttore del Centro Parkinson e Parkinsonismi dell’Irccs San Raffaele di Roma, “ma la sfida vera è quella di riuscire a curarla. Presso il San Raffaele stiamo conducendo degli studi con anticorpi monoclonali per cercare di bloccare la proteina infettante che la causa, la proteina α-sinucleina”.

Sono due i trial più importanti in corso presso l’Istituto romano: uno con un anticorpo monoclonale somministrabile per via endovenosa e l’altro per via orale. Entrambi vanno a bloccare la proteina quando si trasferisce da una cellula all’altra.

“Per quanto riguarda il primo studio emergono segnali promettenti in merito alla buona tollerabilità del farmaco” sottolinea Stocchi. “Nel corso della seconda fase infatti sono stati evidenziati elementi positivi rispetto alla sua capacità di modificare il decorso della malattia. Ora lo studio, giunto alla terza fase, ha l’obiettivo di dimostrare che l’anticorpo monoclonale rallenta la progressione del Parkinson. In corso ci sono anche delle sperimentazioni per migliorare le terapie sintomatiche: i pazienti che già ne soffrono possono essere trattati meglio con dei farmaci che migliorano la somministrazione della levodopa, in maniera più continua, e altri farmaci sempre più efficaci che possono affiancare la stessa levodopa per trattare le complicanze a lungo termine come le discinesie e le fluttuazioni motorie”.

La malattia di Parkinson rappresenta una delle cause più frequenti di disabilità soprattutto fra i soggetti anziani. È infatti una patologia neuro-degenerativa cronico-progressiva, caratterizzata da disturbi di tipo motorio, come la bradicinesia (povertà e lentezza nel movimento), il tremore a riposo, la rigidità, la postura in flessione e l’andatura strascicata a “piccoli passi”, possono coesistere anche deficit dell’equilibrio.

“La terapia non può dunque prescindere dall’approccio farmacologico, ma è fondamentale che quest’ultimo sia associato ad un mirato trattamento riabilitativo occupazionale, logopedico e neuromotorio che al San Raffaele diventa anche personalizzato grazie all’utilizzo di robot e tecnologie all’avanguardia”, conclude il neurologo.

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