Covid, i piani di Moderna per un vaccino definitivo

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Gli scienziati di Moderna continuano la loro corsa per sviluppare nuovi vaccini che un giorno potrebbero battere il virus. La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di aprile 2022.

 

Il pomeriggio prima del giorno del Ringraziamento, Stéphane Bancel aveva deciso di prendersi qualche momento di relax. Il Ceo di Moderna, la biotech con sede a Cambridge, Massachusetts, è il tipico leader di startup: un vortice di energia connesso 24 ore su 24 via e-mail. Ma mentre l’America si concedeva una lunga pausa fatta di tacchino, traffico e football, Bancel era nel suo ufficio di casa e si preparava a chiudere con qualche ora di anticipo la giornata lavorativa. Dopotutto, lui e il suo team avevano lavorato duramente per quasi due anni. Avevano gareggiato per sviluppare e produrre il loro vaccino Covid, noto come SpikeVax, potenziando ogni ambito dell’organizzazione per questo obiettivo. Qualche ora in più di riposo prima di un fine settimana festivo sembrava nell’ordine delle cose.

Solo che a un certo punto Bancel ha ricevuto un sms urgente da Stephen Hoge, presidente di Moderna e capo Ricerca e sviluppo: “Tracciata una nuova variante. (B.1.1.529). Non sembra una cosa buona”. Hoge, medico di pronto soccorso diventato consulente McKinsey ed entrato a far parte di Moderna nel 2012, ha suggerito di fare immediatamente una videochiamata.

Negli ultimi due anni, durante la pandemia globale, Bancel, 47 anni, si è ritrovato a recitare un ruolo da protagonista in molti momenti di questo film catastrofico. C’è stato il fatidico giorno all’inizio di gennaio 2020 in cui ha ordinato al suo team di sequenziare un misterioso virus respiratorio poco conosciuto che si stava diffondendo in Cina e di iniziare a lavorare su un vaccino, per ogni evenienza. Oppure quella volta, poche settimane dopo, in cui si è ritrovato con una manciata di altri leader internazionali della sanità a Davos, nelle Alpi svizzere, a scarabocchiare su un tovagliolo il tasso di infezione previsto per quel patogeno. E ancora, diciotto mesi dopo l’inizio della pandemia, quando è stato informato dell’ultimo capitolo della saga di Covid: un nuovo ceppo spaventoso del virus che da lì a breve sarebbe stato soprannominato Omicron. Un paio di giorni prima, Hoge e il suo team di ricercatori avevano notato alcuni dati allarmanti che arrivavano dal Sudafrica e dal Botswana, e poi da Hong Kong. Come altri, Moderna segue da vicino l’evoluzione in tempo reale di Sars-CoV-2, il virus che causa Covid-19, monitorando il database globale in cui gli scienziati di tutto il mondo pubblicano le sequenze genetiche del virus appena raccolte. L’obiettivo è individuare rapidamente le mutazioni che cambiano significativamente la natura del virus o la capacità dei vaccini di proteggerlo.

Moderna si stava preparando a uno scenario del genere da mesi, utilizzando sofisticati strumenti di machine learning per reagire ai colpi di scena che Sars-CoV-2 avrebbe potuto riservare nel futuro. I ricercatori avevano sviluppato un elenco di risultati con oltre 30 delle più probabili mutazioni della proteina Spike del virus e analizzato i modi in cui tali mutazioni avrebbero potuto combinarsi per formare nuove varianti e influire sull’efficacia di SpikeVax. La proteina Spike è l’uncino che aiuta il virus a infettare le cellule, nonché il bersaglio degli anticorpi indotti dal vaccino stesso.

La teoria del team di Moderna era che ci fosse un limite naturale a quanto la proteina Spike potesse mutare prima di iniziare a perdere efficacia: non pensavano che fosse possibile che il virus continuasse a proliferare con più di 10 mutazioni. Ma queste nuove sequenze, che contenevano tutte le 10 mutazioni più probabili oltre a una dozzina di altre, “hanno spazzato via quell’ipotesi”, afferma Hoge.

La grande domanda per Bancel e Hoge era: il sistema immunitario di una persona vaccinata con Moderna avrebbe riconosciuto cosa aveva di fronte, una volta esposto alla nuova versione altamente mutata del virus? In altre parole, SpikeVax avrebbe retto?

Omicron ha radicalmente cambiato la natura della pandemia e il dibattito tra le istituzioni sanitarie, la politica e l’opinione pubblica sul miglior piano di battaglia contro Covid. Il ceppo ultra-infettivo del virus ha attraversato il mondo alla velocità della luce, superando in astuzia altre varianti, battendo i record di casi Covid in dozzine di Paesi, riempiendo ospedali e aumentando il numero delle vittime. E, quasi con la stessa rapidità con cui si è diffuso, Omicron ha poi cominciato a calare.

Come temevano Hoge e altri, si è dimostrato molto superiore rispetto alle versioni precedenti del virus nell’evadere le nostre difese immunitarie, sia nelle persone precedentemente infettate che in quelle con un ciclo di vaccinazione completo. Ma ha causato anche malattie meno gravi rispetto alle varianti precedenti, in parte perché si annida più nelle vie aeree superiori, naso e gola, che nei polmoni. Le persone completamente vaccinate, specialmente quelle con il booster, si sono rivelate molto meno a rischio di malattia. E i vaccini come Moderna hanno dimostrato di continuare a funzionare.

Questo capitolo nella lotta contro Covid ha suscitato dubbi e speranze e ha fatto nascere una serie di domande importanti: Omicron rappresenta un passo importante verso la fine di Covid, con il virus che ha perso parte della sua virulenza e la popolazione che risulta più esposta, ma anche più immune? O è semplicemente una distrazione prima dell’arrivo di qualche variante da giorno del giudizio? E i produttori di vaccini sono in grado di adattarsi abbastanza rapidamente per fornirci le armi di cui abbiamo bisogno per continuare la lotta contro i ceppi futuri?

Per quelli come Bancel e Hoge, che hanno trascorso gli ultimi due anni in prima linea, Omicron è stato un umiliante promemoria del fatto che questo virus si muove più velocemente della nostra scienza e in modo più imprevedibile di quanto i nostri strumenti più sofisticati possano prevedere. La risposta a molte delle domande è: non lo sappiamo. E infatti, mesi dopo l’emergere di Omicron, molte cose su questa variante restano incerte, compreso per quanto tempo rimarrà in circolazione e se i vaccini aggiornati, come quello che sta sviluppando Moderna, saranno utilizzati, o addirittura necessari. Per capire meglio cosa ci aspetta, abbiamo chiesto a Moderna di farci dare uno sguardo dall’interno su come l’azienda sta pensando di affrontare i diversi scenari che potrebbero manifestarsi nei mesi e negli anni a venire.

È difficile sopravvalutare l’importanza di SpikeVax per Moderna. Prima della pandemia, l’azienda era una startup promettente con una tecnologia molto pubblicizzata, molte idee su come applicarla e poche vendite. Il vaccino ha cambiato tutto. SpikeVax è stata la fonte di quasi tutti i 17,5 mld di dollari di ricavi stimati per Moderna nel 2021, il primo anno in cui l’azienda ha raggiunto un miliardo di vendite. Il grafico azionario racconta la storia di questa corsa sfrenata. A gennaio 2020, le azioni venivano scambiate a circa 20 dollari. Sono salite alle stelle fino a quasi 485 dollari nell’agosto 2021 prima di crollare alla fine dell’anno. A fine di gennaio il titolo veniva scambiato a circa 157 dollari. Lungo la strada, la manna SpikeVax ha permesso a Moderna di fare investimenti più ambiziosi per far avanzare altre applicazioni per la sua piattaforma mRna. Ad esempio, ha recentemente avviato studi clinici di fase III per un vaccino per prevenire il Citomegalovirus (Cmv), che può essere trasmesso dalle donne in gravidanza ai loro bambini ed è una causa comune di difetti alla nascita.

La versione originale di questo articolo è disponibile sul numero di Fortune Italia di aprile 2022. Ci si può abbonare al magazine di Fortune Italia a questo link: potrete scegliere tra la versione cartacea, quella digitale oppure entrambe. Qui invece si possono acquistare i singoli numeri della rivista in versione digitale.

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