Long Covid e cervello, cosa sappiamo

Neuromed credit credit Annamaria Benedetto)
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L’infezione da Covid-19, oltre a far vittime tra i più fragili, ha determinato conseguenze a medio e lungo termine nel  75% dei pazienti che sono stati ricoverati: il cosiddetto Long Covid. Caratteristiche e numeri di questa patologia sono stati discussi a Pozzilli durante il convegno ‘Cervello sotto attacco: dal Neuro Covid agli stili di vita per ridurre i danni’, organizzato da Neuromed e dal Mohre, l’Osservatorio per la riduzione del danno in medicina.

I numeri parlano chiaro. Uno studio effettuato su un campione di 90mila adulti over 65 guariti da Covid ha riscontrato sintomi a lungo termine debilitanti nel 32% dei casi, tanto da suggerire di considerarlo una ‘sindrome geriatrica’. Un altro studio, dei Feinstein Institutes for Medical Research, ha rilevato un 13% di nuove diagnosi di demenza entro 1 anno dal ricovero per Sars-CoV-2. I sintomi più comuni, infatti, sono quelli neurologici, cognitivi, a volte accompagnati da ansia e depressione; i tempi di durata si aggirano attorno a un anno, anche fra i giovani.

Problemi di memoria e concentrazione affliggono il 70% dei pazienti: i test cognitivi condotti nell’ambito dello studio pubblicato su Frontiers Aging Neuroscience hanno rilevato una notevole riduzione della capacità di memoria: il 78% ha dichiarato di avere difficoltà di concentrazione, il 69% ha riferito di nebbia cerebrale (brain fog), il 68% ha riferito di incappare in dimenticanza e il 60% di avere problemi a trovare la parola giusta.

Secondo gli esperti un primo aiuto viene dalla ‘riserva cognitiva’, quel surplus di neuroni, sinapsi e connessioni che garantisce al nostro cervello una maggiore resistenza, dando anche una significativa protezione dalle malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson e favorendo il recupero in caso di traumi cerebrali o ictus.

La ‘riserva’ è stata descritta per la prima volta nel 1988 da Robert Kaztmann dell’Università di San Diego sulle pagine degli Annals of Neurology, e si basava sull’evidenza derivata dalle autopsie dei residenti di una Rsa, età media 85 anni al decesso, che evidenziavano segni cerebrali di neurodegenerazione, senza averne mostrato i sintomi in vita. Dieci di loro presentavano i segni anatomici della demenza ma le cartelle cliniche indicavano risultati ai test cognitivi superiori rispetto ai loro coetanei sani. Recentemente, all’idea di una dotazione determinata geneticamente si è integrata l’ipotesi che tale riserva possa essere costruita nel tempo, sino a riconoscerne i fattori favorenti. Migliore istruzione, maggiore protezione dunque.

“Presso il nostro Istituto – dice Giovanni de Gaetano, presidente dell’Irccs Neuromed – si svolgono da anni studi epidemiologici, clinici e sperimentali sui fattori di rischio o di prevenzione della salute e delle malattie croniche degenerative. Siamo anche interessati alle condizioni che determinano l’età biologica dell’organismo in toto e di alcuni organi in particolare, come il cervello. L’età cronologica conta, ma l’età biologica appare ancor più cruciale per un invecchiamento di successo”.

Tra le strategie raccomandate per mantenere vivo il nostro cervello rientra l’indicazione di ridurre, se non eliminare, il consumo di sigarette. “Nel caso del tabacco, le strategie di riduzione del danno sono un intervento di salute pubblica potenzialmente salvavita per 1,1 miliardi di fumatori nel mondo. E’ ovvio che non esiste un fumo sano e che l’ideale sarebbe non iniziare a fumare o a bere alcolici specie in giovane età, ma per gli adulti nei quali la dipendenza è consolidata, è necessario fornire una soluzione percorribile”, sottolinea Fabio Beatrice, direttore del Board Scientifico di Mohre.

Un momento dell'evento al Neuromed credit Annamaria Benedetto
Fabio Beatrice nel corso dell’evento Neuromed. Credit Annamaria Benedetto

“Le malattie degenerative cerebrali non sono un destino ineluttabile – conclude de Gaetano – possiamo fare molto per invecchiare con una mente lucida, a partire da stili di vita corretti, iniziati da giovani, ma proseguiti da adulti e anche nelle età più avanzate. L’ideale è avere una vita biologica del cervello più sana e longeva della vita cronologica. Una sfida impegnativa, alla quale stiamo dedicando qui a Neuromed nuovi programmi di ricerca”.

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