Se i farmaci sono troppi, l’era della de-prescrizione

Congresso Simi
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Destreggiarsi fra blister di pillole, fiale e pasticche può diventare una sfida, anche per la memoria. Oltre a insidiare la salute, a causa della mancata aderenza, del rischio di interazioni e degli effetti sui reni. Lo sa bene il 66% degli adulti che nel nostro Paese assume oltre 5 farmaci, mentre 1 anziano su 3 supera i 10 farmaci l’anno. Non saranno troppi?

Ecco allora che è arrivato il momento di pensare a linee di indirizzo per guidare i medici non solo alla prescrizione di un medicinale, ma anche alla sua ‘de-prescrizione’, cioè a quando e come è opportuno sospenderlo.

La sollecitazione viene dal congresso nazionale della Società Italiana di Medicina Interna, al via a Roma. A volte, per il bene del paziente, è necessario sfoltire la ‘polifarmacia’ (una realtà di chi assume 5-6 medicine al giorno, condizione comune in almeno i due terzi degli anziani).

“Alcuni studi, condotti all’interno del programma Reposi (REgistroPOliterapie della Società Italiana di Medicina Interna), un network di reparti di medicina interna e geriatria italiani – ricorda Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna  – hanno messo ben in evidenza il fenomeno della polipharmacy e le sue ricadute. A rischio di effetti indesiderati sono soprattutto le persone con una ridotta funzionalità renale, condizione comune tra gli anziani”.

Uno studio condotto su oltre 5 mila pazienti over 65 del registro Reposi ha evidenziato che almeno la metà mostrava una compromissione moderata della funzionalità renale; il 14% una compromissione funzionale grave e il 3% una molto grave. Tra i pazienti con ipertensione, diabete, fibrillazione atriale, coronaropatia e scompenso, all’11% veniva prescritto un dosaggio di farmaci inappropriato rispetto alla funzionalità renale. E nel follow up, una inappropriatezza prescrittiva si associava ad un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause del 50%.

“Il 66% dei pazienti adulti assume 5 o più farmaci e un anziano su tre assume oltre 10 farmaci in un anno – ricorda Gerardo Mancuso, vicepresidente nazionale della Simi – e questa percentuale si è consolidata negli ultimi anni, provocando un aumento delle cause di ricovero per eventi avversi per interazioni farmacologiche. La prescrizione multipla di farmaci talvolta mitiga o annulla i benefeci e aumenta le complicanze e la mortalità. Nei pazienti anziani il delirium, le cadute, la ipotensione, l’emorragia ed altre condizioni, riconoscono come causa la politerapia. De-prescrivere le molecole farmacologiche è una attività che l’internista deve fare in tutti i pazienti, ma soprattutto negli anziani”.

“È necessario invertire questa tendenza – sostiene Sesti – e inaugurare l’era del ‘deprescribing’. Ma perché questo avvenga, dobbiamo aumentare la consapevolezza di pazienti e medici, in particolare quelli di famiglia e gli internisti, invitandoli, dopo un’anamnesi farmacologica accurata, a ‘sfoltire’ le prescrizioni a cominciare dai loro pazienti più anziani”.

Rita Redberg, direttore di Jama Internal Medicine e professore di cardiologia alla University of California, San Francisco, è una delle fautrici del movimento Choosing Wisely. “È suo – ricorda Nicola Montano, vice presidente e presidente eletto Simi – lo slogan ‘less is more’, pubblicato per la vita volta nel 2010, che potremmo sintetizzare con il concetto che ‘fare meno talvolta è meglio che fare di più’ per i nostri pazienti”.

“Il less is more – insiste Sesti – non vale solo per le medicine, ma anche per i troppi esami, alcuni dei quali, come le Tac, comportano rischi per la salute legati ad un eccesso di radiazioni.  Quindi anche in questo caso la parola d’ordine è ‘appropriatezza’, soprattutto quando un esame a ‘rischio’ viene prescritto ad un paziente giovane”.

Insomma, il deprescribing, almeno concettualmente, poggia su basi solide. “Si tratta di un importante cambio di paradigma che investe soprattutto la sfera della prevenzione primaria, dove dieta, attività fisica e smettere di fumare possono fare molto, senza necessità di medicalizzare un soggetto, che non è ancora paziente. Dobbiamo inoltre analizzare con attenzione tutte le prescrizioni fatte ai nostri pazienti, in particolare se anziani. Sarà facile accorgersi che molte possono essere eliminate; in un soggetto con un’aspettativa di vita limitata, sarebbe opportuno chiedersi quali sono le medicine realmente necessarie, eliminando tutte le altre. Riteniamo che su questo punto sia necessario organizzare una consensus che indichi la strada da seguire in questa direzione, per guidare l’operato dei medici con una serie di decisioni condivise, volte a migliorare l’appropriatezza prescrittiva”, sottolinea Sesti.

Gli specialisti invitano i colleghi a rivedere periodicamente insieme al paziente (o ai suoi familiari) tutte le sue prescrizioni per eliminare quelle più a rischio (tipicamente benzodiazepine, antidepressivi, ‘supplementi’ vari, inibitori di pompa protonica, oppiacei, antinfiammatori non steroidei, e altri ancora) o non strettamente utili.

“Un esercizio che potrebbe sembrare utopico, visto lo scarso tempo a disposizione dei medici, specialisti o non, ma necessario. E d’altronde, l’inerzia prescrittiva, quella che porta a ripetere le prescrizioni anno dopo anno senza una rivalutazione critica, non rappresenta una strategia vincente. Secondo un’analisi recente – conclude Sesti – 1 ricovero su 11 a carico dei pazienti anziani, può essere ricondotto ad una prescrizione sbagliata o agli effetti indesiderati dei farmaci”.

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