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Clima, cosa abbiamo sbagliato e come rimediare

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E se avessimo guardato al clima e al cambiamento climatico in modo completamente sbagliato? E se la nostra più grande paura potesse invece offrire la speranza di un futuro più luminoso? I report dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), che risalgono al 1995, hanno definito il modo in cui pensiamo al cambiamento del clima. Prima si pensava che gli impatti climatici fossero una serie di problemi graduali e in lento aumento, gestibili con processi tecnologici e gestionali. In secondo luogo, si pensava che la mitigazione fosse costosa e dannosa per l’economia. Secondo questo modo di pensare, i cambiamenti climatici sarebbero stati costosi da prevenire e moderatamente dannosi.

Di conseguenza, gran parte delle risposte non sono state dettate da considerazioni di mercato: si sono invece considerate l’equità, la conservazione del mondo naturale e altri benefici difficili da valutare. In qualità di autore principale del secondo e del terzo rapporto Ipcc, comprendo bene questo quadro di convinzioni.

Ma se questi presupposti fossero sbagliati? Se la gravità del cambiamento climatico fosse stata sottovalutata e se molti dei suoi danni fossero difficili o impossibili da affrontare? E se il tasso del potenziale progresso tecnologico fosse più veloce e il costo delle tecnologie alternative più basso di quanto previsto?

Allora l’equazione economica fondamentale cambia e la decarbonizzazione potrebbe risultare poco costosa, o addirittura vantaggiosa per l’economia globale.

Come siamo arrivati a questo punto

Agli albori della climatologia, la ricerca tendeva a concentrarsi su impatti futuri lontani, con livelli di CO2 preindustriali raddoppiati, spesso proiettati all’anno 2100. Fornire proiezioni a breve termine era più difficile, perché il clima attuale è molto variabile e gli scienziati erano prudenti nel proiettare cambiamenti che erano piccoli rispetto alla variabilità del sistema stesso. Molti hanno concluso che i danni erano lontani nel tempo e che i sistemi socioeconomici avrebbero avuto il tempo di adattarsi.

Allo stesso tempo, essendo gli addetti ai lavori cauti (nonostante le accuse di allarmismo), le proiezioni sui costi della mitigazione erano piuttosto elevate. Basate su modelli dei primi anni 2000, le ipotesi basate sui tassi del progresso tecnologico presupponevano tassi di innovazione lenti. La sfida di diminuire le emissioni è stata associata a grandi spese e sacrifici.

L’equazione climatica sembrava proiettare un mondo in cui la mitigazione aggressiva era costosa e quindi ingiustificata.

E il mondo in cui viviamo ora? Solo negli Stati Uniti vediamo gli effetti dell’intensificarsi degli uragani e delle ondate di calore, degli incendi più frequenti e più intensi e della persistente siccità che porta al fallimento delle infrastrutture idriche, il tutto in una delle nazioni più ricche e resilienti del mondo. Questi impatti sono presenti perché i cambiamenti estremi (giornate e notti molto calde, siccità, maltempo) stanno accelerando. Sono proprio questi gli aspetti del clima che anche i modelli climatici più avanzati hanno difficoltà a prevedere.

Allo stesso tempo, anche le proiezioni sul costo delle energie rinnovabili si sono rivelate fuorvianti. I costi dell’energia solare sono diminuiti molto più rapidamente di quanto suggerito dai modelli dell’Ipcc. In assenza di ostacoli imprevisti o di incentivi controproducenti, l’energia solare ed eolica potrebbe consentire una decarbonizzazione quasi completa in due decenni, anche se ciò richiederebbe progressi nelle tecnologie di supporto: nello stoccaggio, nelle reti intelligenti, nella ricarica e nel trasporto.

Esiste un calcolo opposto a quello che i leader aziendali, i politici e la maggior parte dei difensori dell’ambiente (con notevoli eccezioni come Amory Lovins) hanno assunto. I danni ci sono e sono molto difficili e (anche) costosi da mitigare.

Le soluzioni intanto crescono e sono sempre meno costose. In questo nuovo mondo, limitare i danni climatici grazie a una mitigazione aggressiva e a basso costo porta a un futuro più ricco già nel breve termine. Ci sono ancora vincitori e vinti in questo mondo, ma i vincitori sono molti di più, compresi coloro che beneficiano di un mondo naturale intatto anziché catastroficamente danneggiato.

Prevedere i cambiamenti climatici è un’impresa analitica formidabile, ma anche valutare i risultati economici basati su vari livelli di intervento ha risultati incerti, anche perché richiede ipotesi sul comportamento umano e proiezioni di fenomeni fisici e cambiamenti sociali che sono molto nebulose.

Queste previsioni climatiche ed economiche sbagliate influenzano il modo in cui i nostri legislatori elaborano la politica climatica. Le previsioni degli economisti e degli scienziati del clima sono state in gran parte moderate, in funzione della cultura scientifica e del desiderio di smorzare le accuse di allarmismo.

Allo stesso modo, molte stime economiche sui danni del cambiamento climatico presupponevano erroneamente che l’agricoltura potesse facilmente adattarsi a una produzione più sostenibile e che il capitale sarebbe stato ridistribuito in modo efficiente alle aziende innovative.

La realtà, ovviamente, è più complicata.

Man mano che gli impatti del clima sull’economia globale e sul benessere umano diventano più evidenti, possiamo aspettarci maggiori investimenti e minor ostacoli e incentivi contrari, come è emerso nella recente legislazione statunitense sul clima dell’amministrazione Biden.

Due errori (le stime imprecise sul ritmo  del cambiamento climatico e i costi della mitigazione) potrebbero produrre qualcosa di buono: un’azione più rapida sulla mitigazione e sull’adattamento al cambiamento climatico. La storia ci dice che la transizione non sarà facile, ma la ricerca ora suggerisce che dovrebbe essere fattibile.

David Schimel, è ricercatore senior presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA e presidente di Entelligent, che modella i dati per aiutare gli investitori a prendere decisioni migliori. Per il suo lavoro come Ippc Convening Lead Author, ha avuto un ruolo nel gruppo guidato da Al Gore e premiato con il Premio Nobel per la Pace nel 2007.

L’articolo originale è su Fortune.com

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