Vaccini personalizzati contro cancro e infarto, l’analisi di Ascierto

Paolo Ascierto all'Asco
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Vaccini personalizzati contro il cancro e l’infarto arriveranno sul mercato tra appena cinque anni. É l’annuncio con il quale Moderna ha fatto impazzire i media di tutto il mondo, consentendo di mettere una bandierina verde nel calendario della speranza di chi è alle prese soprattutto con un tumore. Alla base di questa tempesta mediatica c’è anche la designazione ‘Priority Medicine’ da parte dell’Ema (Agenzia europea dei medicinali) per la combo vaccino a mRna- immunoterapia sviluppata da Moderna insieme a MSD.

La designazione ha lo scopo di accelerare lo sviluppo e la valutazione di trattamenti destinati ad aree di urgente unmet need clinico, come appunto l’oncologia. In questo caso, la designazione è stata concessa alla terapia di combinazione tra il vaccino terapeutico mRna-4157/V940 di Moderna e il pembrolizumab (l’immunoterapico anti-PD-1, blockbuster di MSD) sulla base di un’anticipazione dei risultati di uno studio di fase 2.

I vaccini terapeutici a mRna rappresentano un nuovo capitolo dell’immunoterapia e non servono a prevenire il tumore, ma a curarlo, ‘allenando’ il sistema immunitario del paziente a riconoscere e combattere le cellule tumorali. Il problema però è che il sistema immunitario delle persone con un cancro è ‘paralizzato’ dal tumore stesso; per questo è vincente associare a questi vaccini anche un immunoterapico ‘tradizionale’ come il pembrolizumab (un anti-PD-1) per ‘risvegliare’ le difese immunitarie del paziente e consentire loro di rispondere al vaccino.

I vaccini terapeutici a mRna, insomma, potrebbero mettere il turbo ai farmaci immunoterapici, utilizzati nell’arco dell’ultimo decennio con successo, almeno in alcune tipologie di tumore (il melanoma in primis, ma anche il tumore del polmone, del rene, ecc.). Il melanoma, il tumore più ‘immunogenico’ (ben visibile cioè alle cellule dell’immunità) che esista, è stato l’apripista e il banco di prova di tutti gli studi sull’immunoterapia. E dunque non a caso, anche nello studio la combo sperimentale mRna-4157/V940/pembrolizumab è stata somministrata come terapia adiuvante a pazienti con melanoma in stadio III/IV, dopo resezione chirurgica. È possibile che entro quest’anno, Moderna e MSD diano il via ad uno studio di fase 3 con questa combo, valutando l’efficacia di questo trattamento sperimentale anche su altri tumori come quello non a piccole cellule del polmone.

Ma come vengono ‘fabbricati’ questi vaccini? “Si prende un pezzo di tessuto tumorale del paziente – spiega a Fortune Italia il professor Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma e direttore dell’Unità di Oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto Pascale di Napoli – e si invia presso un laboratorio specializzato dove viene processato. Un algoritmo particolare a questo punto seleziona diversi neoantigeni (molecole riconosciute ‘estranee’ dall’organismo e tipiche di quel particolare tumore e di quella particolare persona), scegliendo quelli che potrebbero generare una maggior risposta immunologica; su questi, viene sviluppato il vaccino a Rna messaggero”.

“I vaccini a mRna – commenta Ascierto – sono un’importante risorsa, come ci ha ben dimostrato Covid. Pochi sanno però che i vaccini contro Covid nascono dalla ricerca oncologica; in diverse pipeline erano già allo studio, prima della pandemia, per il trattamento del melanoma e del tumore del polmone. I vaccini però in passato hanno sempre fallito. Forse perché si innesca una tolleranza immunologica”.

“Tra i vari meccanismi di resistenza ad esempio, i linfociti T ad un certo punto cominciano ad esprimere sulla loro superficie il PD-1, che è proprio l’emblema della tolleranza immunologica. Ecco perché, nei nuovi studi, il vaccino a mRna viene associato ad un checkpoint inhibitor, un anti-PD-1, che consente al vaccino di funzionare in maniera importante come guida del sistema immunitario, potenziando l’attivazione immunitaria nei confronti di alcuni antigeni specifici. Al tempo stesso poi, gli anti-PD-1 vanno ad agire su questo meccanismo di tolleranza, potenziando ulteriormente l’attivazione del sistema immunitario contro il tumore”, dice Ascierto.

“Questo duplice effetto è stato sperimentato in un setting adiuvante (cioè dopo l’intervento chirurgico) nel melanoma da uno studio randomizzato di fase due, nel quale la combo vaccino-pembrolizumab è stata confrontato con il solo pembrolizumab. I risultati definitivi di questo studio verranno resi noti martedì prossimo nel corso del convegno dell’American Association for Cancer Research (AACR) dal professor Jeffrey Weber della New York University. E dalle anticipazioni, sembra trattarsi di dati molto importanti; la combo andrebbe a ridurre ancora di più il rischio di una recidiva rispetto al trattamento con il solo pembrolizumab”.

Questi dati andranno poi confermati dagli studi di fase 3 che inizieranno a breve (in Italia forse partiranno la prossima estate e il professor Ascierto, insieme ad altri centri italiani, prenderà parte a questi trial, ndr).

“Al momento – rivela Ascierto – sto partecipando ad uno studio della Evaxion, concettualmente molto simile e basato su un vaccino a mRna somministrato in associazione ad un anti-PD-1. A differenza dello studio di Moderna però, in questo studio il vaccino viene somministrato come trattamento di prima linea nel melanoma. Anche in questo caso un frammento del tessuto tumorale viene processato per fabbricare il vaccino a mRna; nel frattempo il paziente inizia il trattamento con pembrolizumab e, dopo circa 8 settimane, si aggiunge questo vaccino. È l’inizio di una possibile rivoluzione: un vaccino personalizzato che aiuta l’immunoterapia attualmente in uso e che potrebbe diventare una strategia pan-tumorale, non solo per il melanoma”.

Se l’immunoterapia si è confermata come uno dei pilastri del trattamento dei tumori, questa sua ulteriore declinazione dei vaccini terapeutici a mRna appare insomma molto promettente da molti punti di vista. “Si tratta di strumenti potenti, versatili, specifici, rapidi, sicuri che possono essere prodotti su larga scala, potenzialmente con bassi costi di manifattura”, commentano Yashavantha L. Vishweshwaraiah e colleghi in una mini-review pubblicata su Frontiers in Immunology. E la pandemia di Covid naturalmente ha accelerato enormemente lo sviluppo di questa tipologia di vaccini che scatenano una risposta immunitaria ‘artificiale’ contro specifici antigeni tumorali, opportunamente individuati, selezionati e presentati al sistema immunitario.

L’antigene, cioè il bersaglio della risposta immunitaria non deve essere espresso anche dalle cellule normali naturalmente. Per questo, bersagli molto più interessanti sono i cosiddetti antigeni-specifici del tumore, o ‘neo-antigeni’, proteine ‘inedite’ derivanti dall’instabilità del codice genetico delle cellule tumorali e in più dotate di enorme immunogenicità. Queste proteine sono in grado di scatenare un robusto attacco da parte delle cellule T, con limitato rischio di tossicità ‘off-target’.

Le strategie vaccinali contro il cancro sono di due tipi: preventive (profilattiche) e terapeutiche. I vaccini preventivi hanno l’obiettivo di indurre una memoria immunitaria per proteggere un individuo sano da un possibile futuro tumore associato ad un virus (ne sono esempi il vaccino contro l’epatite B per l’epatocarcinoma e il vaccino contro il papillomavirus per il carcinoma della cervice); al momento, questa è l’unica applicazione approvata nell’uomo per i vaccini profilattici.

I vaccini terapeutici invece fanno da booster o aiutano a riattivare le difese immunitarie di un individuo, ‘imbavagliate’ dal tumore. Sono già utilizzati per l’immunoterapia oncologica due vaccini, il classico vaccino BCG (bacillo di Calmette-Guérin) per il tumore della vescica e un vaccino basato su cellule dendritiche (Sipuleucel-T) per il tumore della prostata resistente alla castrazione.

Ma oltre a questi, sono diversi i nuovi vaccini terapeutici contro il cancro in sviluppo o già in fase di ricerca preclinica o clinica (sono oltre 2.400 gli studi registrati su clinicaltrials.gov, un centinaio dei quali sui vaccini a mRna). Questi vaccini terapeutici sono prodotti attraverso diverse piattaforme: vaccini cellulari, vaccini peptidici, vaccini virali (tra i più recenti, quelli a virus oncolitici) e vaccini basati su acidi nucleici (come appunto quelli a mRna).

Intanto, all’inizio dell’anno il Governo inglese ha annunciato di aver siglato una partnership con la tedesca BioNTech (progetto Cancer Vaccine Launch Pad) per testare potenziali vaccini contro il tumore e altre patologie; questo consentirà ai pazienti inglesi di accedere con un fast-track ai trial sulle terapie personalizzate a mRna, compresi appunto i vaccini contro il tumore.

BioNTech da parte sua installerà nuovi centri di ricerca e sviluppo in Gran Bretagna (un laboratorio a Cambridge e gli headquarter a Londra). L’obiettivo è di reclutare pazienti da settembre 2023, fino alla fine 2030 per una serie di trial riguardanti vaccini a mRNA contro il melanoma in fase avanzata (BNT111), il tumore della prostata (BNT112) e i tumori testa collo (BNT113).

I vaccini personalizzati a mRna inaugurano un nuovo filone di terapia oncologica personalizzata e di precisione. Quelli diretti contro specifici antigeni tumorali possono essere prodotti attraverso la tecnologia NGS (next generation sequencing), mentre le simulazioni al computer possono aiutare non solo a ‘prevedere’ la struttura di questi neoantigeni, ma addirittura a valutare l’effetto della loro presentazione alle cellule dell’immunità.

Insomma sarà possibile ‘disegnare’ una nuova generazione di vaccini a tavolino. Restano da risolvere ancora molti aspetti, dalla stabilità di questi vaccini, alle modalità di somministrazione, alle associazioni più vantaggiose con altre immunoterapie. Ma la speranza sembra davvero aver imboccato la strada giusta.

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