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Trapianti: Italia generosa tra criticità e scetticismo

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E’ variegato il quadro dell’Italia dei trapianti. Il nostro è un Paese generoso sul fronte delle donazioni di organi e tessuti, come ci mostra la ‘mappa’ resa nota dal Centro nazionale dei trapianti. Ma non mancano le criticità. Pensiamo allo scetticismo degli over 70. C’è poi da tener conto delle disparità vissute ancora oggi dalle persone con malattie rare, per le quali un trapianto significa speranza di vita.

Facciamo il punto in occasione della XXVI Giornata nazionale per la donazione e il trapianto di organi e tessuti.

Trapianti e malattie rare

In 17 anni (2002-2019) sono stati effettuati in Italia 49.400 trapianti e che nel 91% dei casi a ricevere cuore, polmone, fegato o reni sono state persone affette da una malattia rara, per un totale di 117 diverse patologie rare individuate. Alcune di queste consentono un maggior accesso ai trapianti, rispetto alle altre: fibrosi cistica e fibrosi polmonare idiopatica (polmoni), cardiomiopatie (cuore), atresie e malattie metaboliche (fegato), nefropatie rare (reni).

I numeri tra luci e ombre

Sono 4mila i trapianti di organo effettuati in Italia ogni anno, più di 20mila quelli di tessuto, circa 1.000 di cellule staminali emopoietiche e midollo osseo, quasi 3 milioni le trasfusioni per oltre 650mila pazienti e nel 2022 sono stati registrati 2,8 milioni di nuove dichiarazioni di volontà alla donazione.

Il Sistema informativo trapianti ha raggiunto così complessivamente 15,5 milioni di dichiarazioni registrate: 11,1 milioni di sì all’eventuale donazione e 4,4 milioni di no.

Lo scetticismo

Si registra ancora un certo scetticismo verso la donazione soprattutto dalla popolazione più anziana over 70, e resta forte la necessità di una maggiore sensibilizzazione dei cittadini. C’è, insomma, un’Italia “generosa, da nord a sud – come ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci – che ogni giorno registra il proprio consenso alla donazione degli organi al momento del rinnovo della carta d’identità: quasi 2 milioni di sì raccolti solo lo scorso anno. I dati indicano, però, anche quasi 900mila no alla donazione degli organi, il 31,8%, con un leggero peggioramento rispetto al 2021. L’opposizione è leggermente più altra fra i giovanissimi e cresce oltre i 70 anni nell’errata convinzione che la donazione degli organi in età avanzata non sia possibile. Il nostro impegno va proprio nella direzione di sensibilizzare ulteriormente i cittadini”.

Nonostante questo, ha ricordato il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, “siamo terzi in Europa per numero di donazioni”. Gemmato si è appellato ai colleghi  parlamentari affinché si iscrivano all’Associazione italiana donatori organi (Aido): “Un modo, insieme a tutti i sottosegretari e ai ministri, per diventare un esempio per il Paese”.

Se lo scetticismo è duro da sconfiggere, l’informazione è l’unica arma vincente, ha ricordato nei giorni scorsi il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo) Filippo Anelli, secondo il quale “le preoccupazioni, talvolta anche inconsce che ci sono tra i cittadini che rifiutano la donazione si possono superare solo informando di più, e per questo fondamentali sono le campagne di comunicazione, ma anche un maggiore impegno dei medici che dovrebbero dedicare più tempo a spiegare ai pazienti che cos’è la donazione e perché bisogna farla”.

Le richieste dei malati rari

In occasione della Giornata, Alleanza Malattie Rare e OMaR si appellano alle istituzioni per un cambio di passo sul tema. Il tavolo di lavoro sulla cultura del dono e sui trapianti, a cui hanno lavorato le oltre 400 associazioni dell’Alleanza Malattie Rare, concorda sull’assoluta necessità di agire su due fronti per agevolare il percorso di cura delle persone che hanno il bisogno e la possibilità di affrontare un trapianto, e delle loro famiglie, uniformando per quanto possibile le differenze regionali.

Occorre continuare a promuovere la cultura del dono, perché una maggiore disponibilità di organi può garantire a più persone questo percorso salvavita e in tempi più brevi. Allo stesso tempo, occorre mettere in atto delle strategie per supportare i pazienti, e con loro le famiglie, che si trovano ad affrontare il lungo percorso trapiantologico, che quasi sempre prevede anche una lunga permanenza fuori casa, e spesso la migrazione in una diversa Regione.

Permangono infatti ancora oggi, nonostante le associazioni le abbiano più volte segnalate, alcune difficoltà e disparità di trattamento e di comportamento, che variano da Regione a Regione, che si acuiscono, soprattutto per quanto riguarda il delicatissimo trapianto di polmoni, e che potrebbero essere risparmiate ai pazienti.

Il caso dei trapianti di polmone

I Centri che eseguono i trapianti di polmoni in Italia sono solo 5: Milano, Torino, Padova, Roma e Palermo. Teoricamente non dovrebbe essere difficile avere comportamenti uniformi, eppure non sempre è così. Non esiste, infatti, una regolamentazione univoca per l’accesso ai Centri Trapianti e questo può influenzare molto la scelta di chi richiede l’accesso alla lista che, pur essendo parte di un sistema nazionale, prevede l’iscrizione presso un solo Centro Trapianti del territorio nazionale, a libera scelta del paziente.

I Centri di Milano, Padova e Torino effettuano il più alto numero di questi trapianti, ma applicano delle regole differenti. Le più stringenti sono quelle di Milano, che può richiedere ai pazienti un domicilio milanese dal momento dell’inserimento in lista fino ai 12 mesi post trapianto. Le motivazioni sono incontestabili, ma “appare evidente che la necessità di un trasferimento di più di un anno possa condizionare sensibilmente la scelta del Centro al quale rivolgersi”, sottolineano le associazioni.

Le spese per la mobilità sanitaria

Fra le criticità, le spese da sostenere: 25-30mila euro per trasferirsi per un periodo minimo di 14 mesi insieme a un accompagnatore (il quale probabilmente vedrà diminuire o cessare le entrate provenienti dal proprio reddito). Spese che, inoltre, vanno a sommarsi a quelle della casa di residenza.

Anche per il “post trapianto” i protocolli forniti dai Centri variano notevolmente.
E anche le Regioni si comportano in modi differenti. È previsto, ad esempio, un rimborso (a posteriori) per chi effettua trattamenti sanitari fuori dalla propria Regione di residenza, ma le leggi regionali sono tutte diverse una dall’altra.

“Il risultato è una totale disomogeneità di procedure e di massimali – sottolinea Gianna Puppo Fornaro, Presidente della Lega Italiana Fibrosi Cistica – Secondo uno studio che abbiamo condotto sul tema, ci sono Regioni che rimborsano solo il viaggio, altre che rimborsano parzialmente le spese di alloggio. In generale, il rimborso viene emesso sempre a posteriori, ma spesso deve essere fatta una richiesta di pre-autorizzazione. Le famiglie sono disorientate, ed eseguire le operazioni burocratiche è quasi sempre difficilissimo. Così siamo noi associazioni a dover compensare, questa ed altre necessità”.

“La questione delle disparità territoriali è divenuta il tasto dolente della sanità italiana – conclude Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice di Osservatorio Malattie Rare – Nelle malattie rare, in cui la mobilità territoriale è quasi sempre la norma, il problema diventa enorme. Se non ci fossero le associazioni a dare una mano, sia con le pratiche burocratiche ma anche, spesso, con aiuti economici, ospitalità e supporto psicologico, alcune persone non potrebbero accedere a questo atto salvavita, per mancanza di risorse economiche, culturali e per assenza di adeguato supporto psicologico”. Una disparità inaccettabile, chiosano le associazioni.

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