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Maria Laura Garofalo (GHC): ‘L’obiettivo è crescere ancora’

Gilead

Dal legame con il padre alla scommessa sulle Regioni virtuose, fino alla quotazione in Borsa. La strategia per il futuro del Gruppo GHC, raccontata da una manager della sanità che ha rotto il soffitto di cristallo

Rompere il soffitto di cristallo in sanità non è cosa da poco. Quando poi si tratta di guidare grandi gruppi privati, le donne diventano una rarità. Ma fra le figure di spicco delle aziende un tempo note come le ‘sette sorelle’ della sanità privata (ormai sono di più), c’è proprio una donna: Maria Laura Garofalo, amministratore delegato del Gruppo GHC (Garofalo Health Care).

Si tratta di gruppo con una storia particolare: grazie all’intuito di un celebre chirurgo, Raffaele Garofalo (classe 1921), nasce negli anni ‘50 il primo polo sanitario privato accreditato nel Lazio. Ma è negli anni ‘90, con la figlia Maria Laura, che c’è il consolidamento. Quindi la diversificazione. Oggi il gruppo GHC è cresciuto concentrandosi sulle “Regioni virtuose”, quelle con i conti in ordine: vanta 32 strutture sanitarie d’eccellenza, situate tra Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Liguria, Toscana e Lazio ed è arrivato alla quotazione in Borsa. Ma l’obiettivo di Lady Sanità è “crescere ancora”.

Come è iniziata la sua storia imprenditoriale?

Con il gruppo di mio padre, che si compone di 5 strutture romane, ma non rientra nel perimetro di GHC. Ero avvocato in una famiglia di medici e lavoravo in uno studio legale. Dopo un master in business administration, mio padre mi chiamò a risolvere dei problemi che si erano creati nel suo gruppo, così mi sono dedicata con lui a ristrutturarlo. A quel punto, un imprenditore doveva necessariamente crescere. Non potendo farlo con il gruppo storico, ho costituito con i membri della seconda generazione una società, iniziando il nostro percorso. Nel ’99 abbiamo acquisito la prima struttura in Piemonte, e così è iniziato il nostro percorso.

Un percorso che ha fatto i conti con la pandemia.

Il 2020 è stato un anno difficile: nessuno si aspettava questa catastrofe. Come tutti, siamo stati pesantemente colpiti dalla sospensione delle attività ordinarie. A maggio siamo ripartiti e il secondo semestre è stato in ripresa. Da un fatturato 2019 di 222 mln nel 2020 siamo scesi a 210 mln, ma poi nel 2021 abbiamo avuto prestazioni al di sopra delle aspettative: 283,7 milioni, in aumento del 34,5% rispetto al 2020. Abbiamo presentato di recente i dati per il 2022: il fatturato è di 322,6 mln euro (+13,7%), e l’Ebitda di 58,6 mln euro (+10,3%). Quella di Covid-19 è stata un’esperienza importante: nell’arco di pochi giorni ci è stato chiesto di aprire reparti Covid, non avendo linee guida. Ce l’abbiamo fatta, e questo ci ha uniti.

Adesso la sanità pubblica sta facendo i conti con la mole di prestazioni rinviate in pandemia. Il sistema è in affanno e si apre una finestra importante per il privato convenzionato.

Già prima della pandemia l’Italia aveva importanti liste d’attesa, anche dovute al fatto che siamo il Paese europeo con il più alto numero di anziani e malati cronici. Ora le liste sono cresciute in modo imponente e alcune Regioni, non riuscendole a smaltire con gli ospedali pubblici, stanno riconoscendo al privato degli extra-budget. Nonostante ciò, sta crescendo molto anche il privato out of pocket, oltre al fatturato delle prestazioni erogate a pazienti che arrivano da fuori regione. In questo quadro mi ha scioccato il fatto che il Pnrr – nato da una catastrofe sanitaria – destini alla sanità la fetta più bassa in assoluto, l’8% delle risorse, senza fondi per il rafforzamento della rete ospedaliera e la lotta alle liste d’attesa. Anche la Finanziaria di quest’anno stanzia 2 mld di euro per la sanità, ma nulla per le liste d’attesa.

Come è stato essere una donna e guidare un grande gruppo?

All’inizio della mia carriera mi sono confrontata con un uomo, mio padre, che ho amato profondamente, ma che era anche ingombrante. Non mi sono sentita isolata in un mondo maschile e sono rimasta me stessa. Ma devo anche dire che sono sempre stata molto determinata e sapevo quello che volevo. Oggi mi rendo conto che, a volte, noi donne tendiamo a snaturarci o a fare un passo indietro. Magari pensando di dover essere diverse da quello che siamo. C’è poi una riflessione che voglio fare: sono sposata da 34 anni e ho 3 figli, sono la prova che si può fare. Sicuramente mio marito è stato fondamentale, perché è stato sempre il primo a sostenermi e a stimolarmi ad andare avanti.

Il soffitto di cristallo in sanità non è semplice da infrangere. Parlando di diversità, come sono i numeri in GHC?

Nella holding il Cda ha 6 membri donne e 5 uomini. I comitati endoconsiliari hanno due componenti donne e un uomo, così come il collegio sindacale. Insomma, abbiamo le quote azzurre (sorride, ndr). Il merito è alla base di qualunque valutazione, ma sicuramente ho aperto la visuale al momento di scegliere. Le donne valide ci sono, basta saper guardare. All’interno del Gruppo, inoltre, su 4.200 fra dipendenti e collaboratori il 78% è donna.

La sanità privata è spesso una ‘questione di famiglia’ in Italia. In futuro ci sarà una nuova generazione di Garofalo alla guida di GHC?

La mia intenzione, anche con la quotazione in borsa, è stata quella di salvare le aziende dai figli e i figli dalle aziende. Nel senso che la nostra storia non deve essere scritta da un altro: oltre che per crescere, nel 2018 ci siamo quotati per salvaguardare le aziende dal passaggio generazionale. Un gruppo che arriva in Borsa è managerializzato: l’erede che non vuole fare quel percorso può vendere le azioni e dedicarsi ad altro.

Per Maria Laura Garofalo il futuro del Gruppo è riassunto in una parola: “Crescita. Soprattutto attraverso acquisizioni, per linee esterne. Anche se vedo una crescita organica sostenuta, legata a bisogni assistenziali ai quali per forza occorrerà dare riposte. Se fossi un investitore – conclude – investirei in sanità. Noi poi siamo proprietari del 98% dei nostri immobili, abbiamo un patrimonio immobiliare importante e abbiamo costituito una nuova società, Real Estate, controllata al 100% da GHC, dove inizieremo a traferire da maggio-giugno i primi 4 immobili, per poi procedere con il resto. Questo ci potrà aiutare, qualora volessimo fare un’acquisizione di più grandi dimensioni. Infine sono molto attenta all’indebitamento: ci siamo posti come limite un debito netto mai superiore a 3,5 volte l’Ebitda. Nel 2021 avevo una leva finanziaria di 2,9 e, nonostante importanti acquisizioni, nel 2022 la leva è scesa a 2,4. Il mio progetto è continuare a crescere, valorizzare il patrimonio immobiliare e aprirci a nuove aree di attività come l’assistenza domiciliare. Portare davvero le cure nelle case dei pazienti, liberando letti negli ospedali”.

 

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