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Influenza aviaria: contagiati cani e gatti. Cosa sta succedendo

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Mentre Covid-19 preoccupa sempre meno, gli specialisti tengono d’occhio un’altra minaccia per la salute: l’influenza aviaria. Ormai da molti mesi in Europa si registrano casi negli allevamenti, un fenomeno che ha colpito duramente il Nord Est del nostro Paese, causando epidemie nei gabbiani, ma anche in alcuni allevamenti della zona del Garda.

Nei giorni scorsi, poi, è arrivata la notizia del contagio di alcuni mammiferi – 5 cani e un gatto – che ha suscitato nuovi timori. Ma che cosa sta accadendo? E quanto dobbiamo preoccuparci?

Il timore del salto di specie

Salute umana e animale, ormai lo sappiamo bene, sono connesse. “Il timore è quello del salto di specie – spiega a Fortune Italia Massimo Ciccozzi, ordinario di Epidemiologia molecolare responsabile dell’unità di statistica medica ed epidemiologia molecolare dell’Università Campus Bio-Medico di Roma – ovvero il passaggio di questo virus, che negli uccelli è altamente letale, ai mammiferi e poi all’uomo“.

“E’ vero che di recente sono stati coivolti proprio dei mammiferi, risultati positivi al virus H5N1 dell’influenza aviaria” all’interno di un allevamento avicolo rurale in provincia di Brescia, sede oltretutto di un focolaio di HPAI H5N1. Ma i cani e gatti contagiati “erano semplicemente stati a stretto contatto con un alto numero di volatili in un allevamento dove c’era un focolaio di influenza aviaria”, dice Ciccozzi. Insomma, emerge la questione del rispetto delle misure di prevezione.

Quanto manca al salto di specie

Quello che sta circolando nel Nord Italia è lo stesso virus trovato nei gabbiani, dotato di una mutazione considerata un marker di adattamento ai mammiferi. Ma allora quanto manca ancora al temuto salto di specie?

“Per David Quammen“, l’autore di “Spillover” (Adelphi), che aveva previsto con anni di anticipo l’ultima pandemia, “mancherebbe solo una mutazione perché ci sia lo spillover nell’uomo. Ebbene, non so come si possa dire questo, ma è chiaro – aggiunge l’epidemiologo – che la presenza di allevamenti intensivi di pollame rappresenta un rischio. Questo tipo di allevamenti in Italia ci sono soprattutto in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, qualcuno nelle Marche”. 

Gli allevamenti intensivi

In questo tipo di allevamenti il virus dell’influenza aviaria circola, e infettando i capi muta. “E’ un virus influenzale, ma il tasso di letalità negli uccelli è altissimo: quasi il 100% degli esemplari infettati muore”, ricorda Ciccozzi.

Il virus ‘nel mirino’ è il sottotipo H5N1 clade 2.3.4.4b. E le analisi genetiche virali effettuate in Italia su uccelli selvatici – fa sapere la Fnovi (Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani) – dimostrano che questo virus sta circolando anche nelle nostre specie stanziali.

Il fatto positivo è che “il contagio nell’uomo – dice Ciccozzi – è ancora raro. Ci sono stati i casi in Cambogia ma si è trattato di contagi diretti, in persone che lavoravano in allevamenti avicoli. Il problema ci sarà quando il virus passerà da persona a persona”.

Le misure

Ecco perché il ministero della Salute ha invitato a intensificare l’applicazione delle misure di biosicurezza negli allevamenti avicoli e la sorveglianza negli allevamenti posti sul territorio nazionale verso i casi sospetti. 

“Il rischio di contrarre un’infezione del genere – avverte Ciccozzi – è alto se si ha a che fare con gli animali interessati. Ma lo è anche per chi ha a che fare con le gabbie, perché il virus resta a lungo su queste superfici. Ecco perchè le persone che vi lavorano, inclusi i veterinari, devono proteggersi sempre con guanti e mascherina“.

I virus dalla Cina

Ma perché le zoonosi spesso hanno origine proprio in Cina? “E’ tutto legato agli allevamenti intensivi”, chiosa Ciccozzi, che ha esaminato e continua a studiare il virus dell’influenza aviaria, e invita a tenere alta l’asticella della sorveglianza. “L’influenza aviaria va monitorata per capire cosa sta accadendo al virus. Ma soprattutto occorre un approccio One Health e una sorveglianza attenta sul territorio, cruciali – conclude – per farsi trovare pronti in vista della prossima pandemia”.

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