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Cervello, l’influenza delle scelte alimentari

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Gilead

“L’uomo è ciò che mangia”, diceva l’anti-hegeliano Ludovico Feuerbach. E non ci sono dubbi che le nostre abitudini alimentari ci aiutano a disegnare una traiettoria futura di benessere e longevità. Ma oggi, anche alla luce delle criticità economiche che si osservano anche nei Paesi più sviluppati, creando una sorta di “gap” in termini di disponibilità e scelte alimentari nella stessa città, l’analisi di Feuerbach dovrebbe forse diventare più complessa e al contempo infarcita di problematiche sociali ed economiche.

Perché se è vero che siamo quello che mangiamo, probabilmente nell’analisi delle scelte che conducono ai comportamenti alimentari dovremmo considerare sempre di più non solo il piacere del palato, ma anche e soprattutto la disponibilità economica. Non solo. Sempre di più in futuro, dovremmo aggiungere un ulteriore tassello di complessità.

Perché non solo le scelte alimentari nel tempo si ripercuotono sul metabolismo e sul rischio di obesità, ma addirittura potrebbero influire sullo sviluppo e sul benessere cerebrale. Così, forse, vivere in un’area a minor disponibilità economica potrebbe influire non solo sul controllo del peso ma anche, e soprattutto, sulla microstruttura cerebrale. Ben oltre l’effetto diretto degli acidi grassi meno salutari.

A dirlo è uno studio molto affascinate coordinato da Arpana Gupta insieme a studiosi della David Geffen School of Medicine dell’UCLA (Università della California di Los Angeles), apparso su Communications Medicine, rivista del gruppo Nature.

In pratica, stando ai risultati dello studio, le scelte alimentari indotte (se non obbligate, vista la congiuntura economica) sulla scorta delle condizioni sociali, porterebbero a un incremento di alimenti ipercalorici e quindi ricchi di acidi grassi sicuramente non ottimali per il benessere fisico. Ma la tendenza a scelte alimentari di questo tipo, che si mantengono nel tempo assieme a una limitata attività fisica, diverrebbe anche propellente per modificazioni nella flessibilità dell’elaborazione delle informazioni nel cervello, con un impatto sui meccanismi di ricompensa, di regolazione delle emozioni e di cognizione. Insomma: la ricerca propone una realtà nuova da valutare mescolando competenze di neuroscienze e modelli psicologici ed economici.

Secondo Gupta, lo studio condotto su oltre 90 persone mostra che vivere in aree con sacche di difficoltà economiche si collega a differenze nella struttura fine della corteccia del cervello, rilevate attraverso sofisticate tecniche di imaging.

“Alcune di queste differenze erano collegate a un indice di massa corporea più elevato e correlate con un elevato apporto di acidi grassi trans presenti nei cibi fast food fritti”, è il suo commento.

Ma probabilmente ridurre tutto ai meccanismi di controllo ponderale e all’attività fisica potrebbe risultare insufficiente a spiegare gli alti tassi di obesità. Ed ecco entrare in gioco quella che con un neologismo potremmo definire neuroeconomia. 

Sempre secondo l’esperto, come riporta una nota dell’ateneo, “i risultati suggeriscono che le regioni del cervello coinvolte nella ricompensa, nelle emozioni e nell’acquisizione di conoscenza e comprensione potrebbero essere influenzate da aspetti di svantaggio del vicinato che contribuiscono all’obesità”.

Ovviamente, da questa osservazione  discende immediatamente la possibile realtà da affrontare e migliorare. Se si favorisce l’accesso a un’alimentazione più sana, attraverso strategie politiche ed economiche che favoriscano le scelte maggiormente sostenibili in termini di salute del singolo e della comunità, ci saranno maggiori possibilità di migliorare la fitness cerebrale degli abitanti delle zone più fragili sotto l’aspetto economico.

Quali sono? Quelle che presentano una serie di fattori combinati come il basso reddito medio, il limitato livello di istruzione, l’affollamento e la carenza di infrastrutture igienico-sanitarie.

Per la cronaca scientifica, ricordiamo che l’analisi delle immagini ottenute con risonanza magnetica funzionale ha mostrato influssi sulle regioni del cervello importanti per l’interazione sociale, sulle regioni coinvolte nella ricompensa, nella regolazione delle emozioni e nei processi cognitivi superiori. 

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