Obesità fa male al cuore, farmaci ad hoc ‘scoperta dell’anno’ per Science

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In epoca di body shaming, è bene fare chiarezza: non è vero che chi è obeso ma non soffre di diabete di tipo 2, ipertensione o colesterolo alto è protetto dalle malattie cardiache. Anzi, l’obesità pesa sul cuore e i chili in eccesso finiscono per rubare anni di vita.

Ma se i numeri dell’obesità sono in continua crescita, una nuova classe di farmaci sta rompendo gli schemi e promette di contrastare l’epidemia di chili di troppo (e le malattie collegate): si tratta degli agonisti del recettore GLP-1 come semaglutide e tirzepatide (sviluppati da Novo Nordisk ed Eli Lilly), incoronati da ‘Science’ scoperta del 2023.

I numeri

Solo nel nostro Paese sono almeno 400.000 gli italiani con obesità e scompenso cardiaco, due patologie in  crescita nella Penisola, dove gli obesi sono circa 6 milioni e i pazienti con insufficienza cardiaca oltre 1 milione, come hanno ricordato gli esperti in occasione dell’84° Congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia (Sic).

La scelta di Science

Sotto i riflettori da mesi, questa nuova classe di terapie sta alimentando la speranza che si riesca ad incidere sui tassi di obesità e sulle malattie croniche interconnesse. Questi farmaci imitano un ormone (glucagon-like peptide 1) prodotto dall’intestino che stimola la secrezione di insulina e inibisce la secrezione di glucagone da parte del pancreas. Protagonisti da mesi di un battage sui sui socail, stanno rivoluzionando medicina, cultura pop e persino i mercati azionari globali “in un modo elettrizzante e sconcertante”, sottolinea ‘Science’.

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Originariamente sviluppati per contrastare il diabete, gli agonisti del recettore GLP-1 inducono una significativa perdita di peso, con effetti collaterali “per lo più gestibili. Quest’anno, studi clinici hanno scoperto che riducono anche i sintomi dell’insufficienza cardiaca e il rischio di infarto e ictus, la prova più convincente che questi farmaci hanno importanti benefici oltre alla perdita di peso stessa”. Per tutti questi motivi, Science ha nominato gli agonisti del GLP-1 la svolta dell’anno.

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Un mix pericoloso

Si stima che fino all’80% dei pazienti con scompenso cardiaco e frazione di eiezione preservata, pari alla metà dei casi, sia anche obeso. Una combinazione pericolosa, perché può aumentare fino all’85% il rischio di eventi cardiovascolari fatali, ‘rubando’ almeno 6 anni di aspettativa di vita, dicono gli esperti dal congresso della Sic. Che invitano a tenere d’occhio (letteralmente) il girovita.

Questione di cm

Non deve preoccuparsi soltanto chi ha l’indice di massa corporea superiore a 30, ma anche chi ha un accumulo di grasso addominale: il girovita non deve andare oltre 88 cm nelle donne, o 102 cm negli uomini, e c’è un nuovo indicatore da tenere d’occhio, il rapporto girovita/altezza, che deve essere minore di 0.5.

Il grasso viscerale e addominale “è il più pericoloso e quello che dovrebbe essere realmente misurato: la semplice valutazione dell’indice di massa corporea e, quindi, del rapporto fra peso e altezza non basta” ha puntualizzato Ciro Indolfi, past-president della Società Italiana di Cardiologia e ordinario di cardiologia all’Università degli Studi “Magna Grecia” di Catanzaro. Insomma, è necessario valutare “la distribuzione del grasso e non soltanto l’indice di massa corporea così ogni possibile vantaggio di sopravvivenza per gli obesi sparisce. L’obesità, infatti, fa male al cuore: la probabilità di avere un infarto, un ictus o un evento cardiovascolare fatale aumenta dal 67 all’85% rispetto a chi è normopeso, tanto che i chili in eccesso ‘rubano’ fino a 6 anni di vita, secondo un recente studio pubblicato su Jama”.

“Scompenso cardiaco e obesità sono due epidemie in rapidissima crescita – ha sottolineato Pasquale Perrone Filardi, presidente Sic e direttore della scuola di specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università Federico II di Napoli – L’aumento dei casi è trainato in parte dall’incremento dell’aspettativa di vita, perché la prevalenza della patologia raddoppia a ogni decade di età e dopo gli 80 anni lo scompenso colpisce il 20% della popolazione. Tuttavia l’insufficienza cardiaca ha anche l’obesità fra le sue cause principali”.

Tutti i mali legati all’eccesso di peso

Ipertensione, sindrome metabolica, diabete, fibrillazione atriale sono tutte patologie legate all’eccesso ponderale e che si associano poi all’insufficienza cardiaca. “Il 2023 è stato un anno di svolta perché l’obesità è diventata per la prima volta un target farmacologico per combattere lo scompenso cardiaco – ha detto Perrone Filardi – Oggi, finalmente si può intervenire con una terapia mirata all’obesità”.

L’esperto ricorda lo studio pubblicato di recente sul New England Journal of Medicine e condotto su oltre 17.000 pazienti in sovrappeso od obesi con malattia cardiovascolare ischemica, ma non diabetici: il trattamento con semaglutide sottocute una volta alla settimana ha ridotto del 20% il rischio di mortalità cardiovascolare, infarto e ictus rispetto ai pazienti in trattamento con placebo. “Un’evidenza destinata a impattare significativamente sul contrasto del rischio cardiovascolare”.

Spegnere l’infiammazione

“Semaglutide inoltre riduce l’infiammazione (-43.5% dei valori di proteina C reattiva) e comporta una maggiore perdita di peso (-13% contro 2.6%) rispetto al placebo – ha detto Gianfranco Sinagra, direttore del Dipartimento Cardiotoracovascolare Asugi e Università di Trieste – Si tratta perciò di una strategia di trattamento che incide in maniera positiva sulla perdita di peso, ma anche direttamente sul profilo infiammatorio che accompagna spesso le malattie cardiovascolari ischemiche e lo scompenso”.

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