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Virus ‘esotici’: cosa ne pensano gli italiani?

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Malattie un tempo esotiche protagoniste di epidemie anche alle nostre latitudini. Batteri che sono diventati ‘immuni’ agli antibiotici e minacciano la salute anche in ospedale. Aria, acqua e terreni contaminati che ‘avvelenano’ animali ed esseri umani. “Sentiamo parlare sempre più spesso dell’importanza di un approccio One Health, ma cosa ne pensano gli italiani? E quanta sensibilità c’è su questo tema?”.

A chiederselo è Massimo Ciccozzi (nella foto in evidenza), responsabile dell’unità di Statistica medica ed Epidemiologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. Per scoprirlo l’esperto, insieme a Chiara Romano del Campus e a Giovanna Jona Lasinio, direttore del dipartimento di Statistica della Sapienza, ha pensato di chiederlo a Google.

Attenzione: questa volta non si tratta di consultare il ‘dottor Google’ per una diagnosi ‘fai da te’. I ricercatori hanno infatti ricavato da Google Trends – uno strumento che permette di conoscere la frequenza di ricerca nel web di una determinata parola o frase – i dati relativi alle ricerche sulle arbovirosi: si tratta di zoonosi causate da virus trasmessi da vettori artropodi (come zanzare e zecche), che interessano sia l’uomo che gli animali.

Lo studio

Il team ha analizzato un periodo di cinque anni: dall’inizio del 2019 fino alla prima settimana del 2024, confrontando la frequenza di ricerca dei termini Dengue, Chikungunya, West Nile e Zika Virus in quattro Paesi del mondo: Italia, Francia, Spagna e India. I dati analizzati hanno permesso ai ricercatori di disegnare per ogni Paese la curva di ‘interesse nel tempo’, che riflette quante ricerche sono state fatte per un particolare termine rispetto al numero totale di indagini su Google in un determinato periodo.

Ma perché sono stati scelti questi Paesi? “Italia e Francia – spiega Ciccozzi, anticipando i risultati che saranno pubblicati su ‘Infectious Diseases Report’ – sono tra i primi Stati europei in cui si sono verificate epidemie autoctone da arbovirus, quindi ci aspettavamo una comune conoscenza e sensibilità sull’argomento. In Spagna non si sono verificate epidemie importanti di questo tipo: il Paese è stato inserito nel confronto in quanto dotato di un clima simile all’Italia e nel quale è diffusa l’Aedes albopictus, vettore di questi virus. L’India è stata scelta invece perché è fra i Paesi in cui diversi arbovirus sono endemici, specialmente Chikungunya, ma qui la frequenza di ricerche dei termini non è così elevata da azzerare, nel confronto, i dati europei”, spiega Ciccozzi.

Un’attenzione ‘ciclica’

I risultati in effetti non sono proprio sorprendenti. In Italia, infatti, “notiamo picchi elevati rispetto a un andamento piuttosto basso della curva. Probabilmente – scrivono i ricercatori – Quei picchi corrispondono alle epidemie di arbovirus avvenute in Italia”. È il caso del record del 2023, che coincide con l’epidemia di Dengue in Lombardia e Lazio. Idem per il picco del luglio 2022, legato a 15 infezioni da West Nile virus (con 4 morti). Non a caso nel 2021, in pieno Covid, le curve in tutti i Paesi decrescono, in quanto l’interesse generale legato agli arbovirus è molto minore rispetto a quello dedicato alla pandemia. Insomma, in Italia in media questi temi sono al centro del 3,8% delle ricerche, in Francia si sale al 5,2% e in Spagna si scende al 4,3%. Per cui, come calcolano gli autori dell’analisi, in Spagna l’attenzione è dell’11% superiore all’Italia mentre in Francia e maggiore del 27%. In India poi la curva sovrasta tutti e tre gli altri Paesi: “Questo ci dice che, là dove le infezioni da arbovirus sono un problema sanitario consistente, l’interesse è decisamente maggiore che in Europa”, dicono i ricercatori.

L’analisi delle ricerche su Google testimoniano inoltre in Italia un’attenzione pubblica limitata rispetto ad altri Paesi nei quali il problema è ben conosciuto o endemico. Ma il cambiamento climatico e la globalizzazione stanno favorendo la diffusione degli arbovirus in climi temperati come il nostro. E qui i vettori di questi patogeni sono enormemente diffusi. “Non è quindi illogico pensare che future epidemie potrebbero verificarsi con maggiore frequenza e intensità. E il primo passo per la prevenzione è sicuramente la conoscenza del problema”, sottolineano i ricercatori. In Italia, però, “passata l’epidemia, passa la paura. E anche la ricerca su Google si riduce”, riflette Ciccozzi. Risultati che dovrebbero far riflettere l’Intergruppo parlamentare One Health, attivo proprio su questi temi.

I superbug

“Dal canto suo – continua l’epidemiologo – l’Italia ha dati importanti per quanto riguarda le infezioni batteriche resistenti agli antibiotici: parliamo di circa 300mila casi l’anno, con 7.000 decessi. Non sono pochi: si tratta di un numero leggermente inferiore a quello causato dall’influenza, ma riguarda persone di tutte le età. Il problema è legato ancora una volta alla mancata consapevolezza di ciò che accade e all’uso indiscriminato e scorretto degli antibiotici. Pensiamo alla leggerezza dell’approccio fai da te, senza prima consultare il medico. Ma anche al problema delle infezioni ospedaliere. Attenzione: i batteri diventano resistenti non per evoluzione, ma per selezione. Si tratta di un meccanismo diverso: quelli che sopravvivono trasmettono il plasmide che contiene la resistenza”.

Insomma, per l’esperto in Italia l’attenzione su questi temi è troppo ridotta e limitata alle singole ‘emergenze’. Ecco allora che diventa “fondamentale una corretta informazione, anche per campagne di prevenzione che vanno studiate e programmate per tempo. Penso alla disinfestazione contro le zanzare, ma anche ai viaggiatori che prima di andare all’estero si dovrebbero informare e proteggere dai virus, magari con i vaccini. O, ancora, al corretto uso degli antibiotici. Ecco, l’approccio One Health richiede un’attenzione continua e una informazione chiara e puntuale. Perché la salute umana – conclude – è indissolubilmente collegata con quella del nostro pianeta e degli animali che lo popolano. E dimenticarlo non ci aiuterà”.

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