La ‘dieta’ del microbiota, come alimentare i batteri buoni

Un tempo la chiamavamo flora intestinale, oggi usiamo il termine microbiota per identificare i miliardi di batteri, funghi e virus presenti (e attivi) nel nostro intestino. “Svolgono una funzione essenziale per regolarità e motilità intestinale, ma hanno anche la capacità di influenzare distretti lontani. E si stanno rivelando preziosi in termini di prevenzione e di cura”, ci racconta Silvia Giugliano, ricercatrice di Humanitas University che fa parte del gruppo di Maria Rescigno (professoressa e prorettrice dell’ateneo) e ci aiuta a fare il punto sulle nuove linee della ricerca.

Se l’intestino è il secondo cervello, ora capiamo meglio anche perché. “Da qui – sottolinea la ricercatrice – possono essere rilasciate delle componenti solubili che vengono prodotte dai batteri, sia in stato di normalità che di alterazione della flora, che possono superare l’intestino stesso, arrivare a livello sistemico e raggiungere la parte ginecologica, il derma o addirittura superare la barriera encefalica e influenzare il cervello. Per questo si parla di asse intestino-cervello. Insomma, cistiti o vaginiti ricorrenti possono essere riconducibili al rilascio di batteri dell’intestino. E lo stesso vale per la propensione a sviluppare dermatiti, infiammazioni e così via”.

Ormai sappiamo infatti che questi batteri “non solo influenzano la nostra salute con la loro presenza, ma lo fanno anche con la loro attività”. In modi che magari non sospettiamo nemmeno. È il caso della produzione di serotonina, che influenza l’umore, o di quella dell’istamina e di altre componenti pro-infiammatorie, spiega l’esperta. Insomma, il ruolo del microbiota nella salute si sta rivelando davvero molto vasto. E la ricerca sta esplorando diverse vie per influenzarlo.

A caccia dei batteri buoni (e dei loro metaboliti)

Se fino a qualche tempo fa nei laboratori di tutto il mondo si cercava di capire quali fossero i microrganismi più utili da somministrare ai pazienti a scopo terapeutico, “ora la ricerca non guarda più solo alla distribuzione dei batteri, ma anche a cosa fanno”. In pratica, l’attività del microbiota consente il rilascio di sostanze particolari: “Sono gli ormai famosi prodotti della fermentazione, definiti postbiotici. L’idea è che siano proprio questi a fare la differenza”. In termini di salute e di cura. Finora si interveniva somministrando probiotici, dunque dando batteri ‘buoni’ direttamente ai pazienti, ma oggi l’approccio è un po’ cambiato: si somministra direttamente il metabolita. Questo consente di risolvere una serie di problemi.

“Se non si ha un’idea chiara della flora del paziente che stiamo trattando, il rischio è di alterare anziché ristabilire un equilibrio nel microbiota. Ecco perché ci stiamo orientando sempre di più verso la somministrazione dei postbiotici rilasciati dai batteri stessi”. Ma, in pratica, cosa sono? “Si tratta di prodotti di derivazione batterica che includono vitamine, proteine, acidi grassi a catena corta, che hanno il ruolo di promuovere il riequilibrio della flora”. Il principio guida è semplice: “Un batterio ‘buono’ – assicura Giugliano – tenderà a produrre sostanze che ne favoriscono la crescita. Quindi noi anziché inserire un microrganismo estraneo, somministrando il postbiotico riusciamo a facilitare la crescita di quel gruppo particolare di batteri che se ne nutre”. Insomma, siamo davvero ciò che mangiamo, ma anche ciò che mangia il nostro microbiota. Ecco allora che diventa importante, nella vita di tutti i giorni e in assenza di patologie, capire come alimentare i batteri ‘buoni’, alleati della salute.

Alimenti amici della flora

Senza dover passare per analisi di laboratorio, quali cibi non dovrebbero mancare nel nostro menù? “Per prima cosa i prodotti fermentati – suggerisce la ricercatrice – dunque yogurt, kefir, ma anche cetrioli, crauti o miso, che promuovono il rilascio di probiotici perché la fermentazione agisce come una sorta di pre-digestione. Poi sono importanti le fibre, dette prebiotici: da questo capiamo come la dieta mediterranea sia comunque un buon punto di partenza. Si può anche suggerire l’aggiunta di una fibra particolare, l’inulina, contenuta ad esempio nei carciofi, nella cicoria e negli asparagi, che va ad aiutare la crescita di batteri specifici come l’Akkermansia muciniphila”. Si tratta di un microrganismo al centro di numerose ricerche, che si sta rivelando importante per la salute di processi ‘chiave’ del nostro organismo e nella terapia di diverse patologie.

Occhio agli eccessi

Attenzione, però, a non farsi prendere la mano. “Bisogna stare attenti a non esagerare: il rischio, con l’eccesso di prodotti che promuovono la fermentazione – ricorda Giugliano – è gonfiore addominale e disbiosi. La flora ha bisogno di equilibrio”. Insomma, piuttosto che stravolgere il nostro menù, per chi segue di base la dieta mediterranea “può essere utile considerare l’aggiunta almeno tre volte a settimana di alimenti che possono promuovere la crescita di batteri come i Bifidobatteri o i Lattobacilli”, suggerisce la ricercatrice. Ma attenzione: l’equilibrio del microbiota può essere alterato anche da una dieta sbagliata. Tra le sostanze nemiche, a parte gli antibiotici che modificano in modo significativo la sua composizione, “troviamo zuccheri, grassi saturi, cibi cosiddetti fast food e l’eccesso di carne rossa e processata”, da limitare anche per via del rischio tumori. “Su questo fronte – continua la ricercatrice – ci sono studi recentissimi fatti negli Usa che mostrano come l’aggiunta di 30 grammi di fibre al giorno sia in grado di promuovere una maggior attivazione del sistema immunitario. E questo proprio grazie alla modulazione del microbiota”.

Insomma, questi miliardi di microrganismi non si limitano a vivere come alieni nel nostro intestino, ma producono sostanze che influenzano la salute, nel bene e nel male. In particolare, i batteri ‘cattivi’ “finiscono per produrre un’infiammazione generalizzata che porta il nostro organismo a indebolire le proprie difese”. Riuscire a favorire i microrganismi benefici può fare la differenza, anche nel caso di disturbi insospettabili. “Stiamo cercando di caratterizzare sempre di più i singoli ceppi e le diverse specialità dei batteri. Che sono modulabili e resilienti: la nostra idea – conclude Giugliano – è quella di indirizzarli verso una specifica attività, a seconda delle diverse patologie che consideriamo. Un’area che varrà la pena esplorare è, ad esempio, il ripristino dell’equilibrio della flora intestinale per favorire la fertilità, anche tramite il trapianto di microbiota fecale. L’idea di intervenire in modo sano in un distretto come quello della fertilità è davvero interessante”. La ricercatrice non ha dubbi: il microbiota deve rivelarci ancora molti dei suoi segreti.

Nell’immagine in evidenza Silvia Giugliano, ricercatrice di Humanitas University.

 

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