Sindrome di Down oltre lo stigma, a che punto siamo

sindrome di Down
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“Stop agli stereotipi”: non è casuale il tema della Giornata mondiale della sindrome di Down: se in questi anni molti passi sono stati fatti, per queste persone resta ancora molto da fare, come hanno sottolineato gli esperti intervenuti a un incontro in Campidoglio. “Gli sterotipi”, ha affermato Gianfranco Salbini, presidente Associazione Italiana Persone Down (AIPD) “sono dannosi perché generano pregiudizi che influenzano pesantemente le prospettive e le potenzialità delle persone con sindrome di Down, agendo negativamente su autostima e sviluppo. Lo stereotipo più comune è che le persone con sindrome di Down sono sempre felici, eterni bambini e incapaci di portare a termine compiti specifici”.

La sindrome di Down, caratterizzata dalla trisomia del cromosoma 21, “rappresenta la più frequente causa di disabilità intellettiva. In Italia circa 1 bambino su 1.000 nasce con questa condizione e oggi si contano circa 38 mila persone con sindrome di Down, di cui 23 mila già adulte”, ha detto Eugenio Barone, ordinario di Biochimica alla Sapienza di Roma e presidente del Comitato Organizzatore della Conferenza Internazionale sulla sindrome di Down, un appuntamento promosso dalla Trisomy 21 Research Society (T21RS) – organizzazione scientifica no-profit di ricercatori che studiano la sindrome di Down – che si terrà a Roma dal 5 all’8 giugno, presso l’Università Sapienza e il Centro Congressi La Nuvola.

Qualche numero

Nel mondo sono 5,4 milioni le persone con sindrome di Down. “Oggi, grazie al progresso della medicina, l’80% raggiunge i 55 anni e 1 su 10 i 70 anni. Un maggior accesso alle cure mediche, inoltre, ha favorito una migliore qualità della vita. In passato le persone con disabilità intellettive erano spesso costrette ad un maggior isolamento, anche all’interno dello stesso nucleo familiare, a causa del fatto che la sindrome di Down veniva considerata uno stigma. Il passaggio a una vita comunitaria e familiare più integrate sembra aver contribuito anche a una vita più lunga. Questo non significa, però, che vada tutto bene”, avverte Barone. “Anzi, ci sono ancora molti gap da colmare. L’accesso alle risorse mediche e ai servizi di supporto è ancora insufficiente”.

Alla conferenza verranno presentati gli ultimi dati e aggiornamenti relativi alla ricerca scientifica, nonché un’intera sessione, “l’Industry session”, in cui aziende farmaceutiche e gruppi di ricerca internazionali coinvolti in sperimentazioni cliniche sulla sindrome di Down siederanno intorno allo stesso tavolo per discutere lo stato di avanzamento dei lavori e gli obiettivi futuri.

Le strutture di eccellenza

In Italia esistono centri di eccellenza che prevedono percorsi integrati ad hoc. “Da oltre 10 anni al Bambino Gesù è attivo un Centro dedicato alle persone con sindrome di Down che, attualmente, segue oltre 900 bambini e ragazzi provenienti da tutta Italia. Si tratta di un percorso clinico-diagnostico integrato, pensato in modo che le visite specialistiche e gli esami diagnostici necessari vengano coordinati e garantiti nella stessa giornata per aiutare le famiglie a eseguire i controlli raccomandati dalle linee guida internazionali”, ha sottolineato Alberto Villani, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa Pediatria Generale e DEA II livello del Bambino Gesù. Per assicurare la migliore qualità di vita possibile alle persone con sindrome di Down, l’Ospedale affianca all’attività clinica e assistenziale multi-specialistica l’impegno sul fronte della ricerca scientifica.

In dettaglio: insieme all’Università Sapienza sono in corso studi sullo sviluppo precoce della malattia di Alzheimer; con alcuni Istituti di ricerca statunitensi l’ospedale della Santa Sede studia l’evoluzione naturale della sindrome di Down.

Quanto al Gemelli, “da sempre presso la Pediatria del nostro ospedale – ha detto Graziano Onder, direttore Uoc Medicina e Cure Palliative Policlinico del Gemelli – ci si è occupati dei bambini con sindrome di Down. Dal 2010 in poi abbiamo aperto un servizio per le persone adulte, rendendo possibile la transizione dalle cure pediatriche a quelle dell’adulto. Inoltre il Policlinico Gemelli sta collaborando ad un’iniziativa dell’Istituto Superiore di Sanità volta a censire i centri clinici nazionali che si occupano di sindrome di Down e a sviluppare un registro nazionale”.

Il ruolo della famiglia

La famiglia resta il fulcro dell’assistenza, anche in età adulta. “Secondo l’indagine “Non uno di meno” di Censis e AIPD Associazione Italiana Persone Down – spiega Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas – in molti vivono in ambito familiare, soprattutto con i genitori (55,3%) o con genitori e fratelli (36,6%), a seconda dell’età. Tra i più anziani è significativa la percentuale di chi vive con i fratelli e/o la loro famiglia (26,2%). Si capisce, quindi, come le questioni collegate, ossia caregiver, progetto di vita e dopo di noi, risultino fondamentali”.

Inclusione e lavoro

L’inclusione delle persone con sindrome di Down negli ultimi 20 anni ha fatto significativi passi in avanti in ogni ambito della vita sociale, a scuola, nello sport, sul lavoro e nella vita indipendente. Il numero sempre crescente di persone con disabilità intellettiva che oggi lavorano con successo è un segnale di quanto sia cambiata la nostra società. “Ma quando non c’è un forte tessuto associativo non c’è lavoro per le persone con disabilità. Cambiare lo sguardo con cui ci si approccia alla disabilità è la sfida che CoorDown affronta da 12 anni. Per il 2024 abbiamo deciso di lanciare con il film ‘Assume That I Can’, pensa che io possa, un messaggio di attivazione, che punta a coinvolgere l’intera società, non solo la nostra comunità, perché la disabilità riguarda davvero tutti e tutti devono poter agire per cambiare la cultura che determina la discriminazione. Ciascuno di noi può contribuire all’inclusione ascoltando e guardando senza filtri distorti le persone con sindrome di Down. Solo così – conclude Antonella Falugiani, Presidente Coordown – possiamo abbattere i muri che ancora limitano le vite delle persone con disabilità intellettiva”.

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