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Covid: è arrivata in Italia la variante KP.2, cosa sappiamo

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Mentre i numeri della pandemia restano bassi, continua il ‘valzer delle varianti Covid’. A preoccupare ora è la KP.2, che negli Stati Uniti sarebbe ormai responsabile di un contagio su quattro, stando ai Centers for Disease Control and Prevention (Cdc). Non solo: secondo uno studio, disponibile in pre-print su ‘bioRxiv’, KP.2 sarebbe “più trasmissibile e immunoevasiva” rispetto a JN.1 e potrebbe diventare dominante. Ma, soprattutto, la nuova variante è già arrivata in Italia. Allora che cosa sappiamo su KP.2, e davvero dovrebbe preoccuparci?

“La nuova variante, che deriva da JN.1, ha tre mutazioni rispetto a questo antenato ma una sola è importante: è localizzata nel sito 455 ed è definita flip mutation: in questo sito cambia la struttura tridimensionale della proteina. È importante perché, per esempio, questo elemento c’era già nella variante Delta e dava maggiore contagiosità e virulenza. Solo che all’epoca la mutazione era associata ad un’altra flip mutation sul sito accanto, il 456″, spiega a Fortune Italia l’epidemiologo Massimo Ciccozzi, responsabile dell’unità di Statistica medica ed Epidemiologia del Campus Bio-Medico di Roma, che insieme al collega Francesco Branda e a Fabio Scarpa dell’Università di Sassari, ha studiato la nuova variante in un lavoro che sarà pubblicato su ‘Infectiuos Diseases’. Un’analisi che ha portato gli scienziati a maturare un giudizio decisamente poco allarmistico su KP.2. Ma vediamo prima la situazione italiana.

Il virus in Italia

Come abbiamo premesso, l’ultimo monitoraggio sull’andamento di Covid-19 diffuso dall’Istituto superiore di sanità segnalava nel nostro Paese due sequenziamenti attribuibili al lignaggio KP.2, “emergente in diversi Paesi, caratterizzato dalla presenza di mutazioni addizionali”.

Anche se, “in considerazione dell’attuale situazione epidemiologica e del conseguente ridotto numero di campioni sequenziati presenti” nella piattaforma, l’Iss precisa che “non è al momento possibile effettuare stime di frequenza su base settimanale” delle varianti del virus Sars-CoV-2 in circolazione in Italia. Insomma, la situazione Covid è profondamente mutata ma allo stesso tempo il monitoraggio dell’evoluzione del patogeno un tempo pandemico è diventato più complicato.

La pericolosità della nuova variante

Ogni volta che un nuovo tipo di virus emerge, la domanda che ci poniamo è sempre la stessa: sarà più cattivo della versione precedente? Per Massimo Ciccozzi, pur con tutte le cautele del caso, la risposta è negativa. “Nel caso della variante Delta le due mutazioni insieme rendevano questa forma di Covid-19 più brutta della precente. Ma qui non è il caso assolutamente”, sottolinea l’epidemiologo.

E questo “sia perché la pericolosità era legata alle due mutazioni associate, sia per il contesto biologico che non è certo quello di oggi.nAl solito si tende a confondere la fitness evolutiva con la fitness di contagiosità”, riflette lo studioso. Che cita il caso di Ebola. “Quel virus non si è evoluto poiché, pur con una grande contagiosità e virulenza, uccideva quasi tutti gli ospiti. E non è questo il caso per Sars-Cov-2: insomma, una cosa è la fitness evolutiva e la capacità di adattamento, una cosa è la fitness di contagiosità e gravità. Se aumenta la capacità di adattarsi, diminuisce la gravità di malattia”, spiega Ciccozzi.

Dunque il messaggio deve essere chiaro: è bene monitorare il virus, senza creare inutili allarmismi. “Alcune mutazioni senza altre di appoggio, oltretutto in un contesto biologico diverso, non hanno lo stesso significato. A me – conclude l’esperto – in questa fase fanno più paura gli allevamenti intensivi, coi passaggi di virus fra specie animali e le mutazioni di dell’influenza aviaria H5N1 piuttosto che le varianti Covid”.

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