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Sembra bonaccia

Si è votato il 4 marzo. Ormai son trascorsi due mesi.
In realtà abbiamo in carica un governo per l’ordinaria amministrazione dal 28 dicembre del 2017, il momento dello scioglimento delle Camere. I mesi sono più di quattro.
Non si può dire che la politica italiana non abbia conosciuto novità. Prima del 4 marzo l’assoluta incertezza sull’esito elettorale. Con le elezioni, un tasso di ricambio del personale e dei gruppi parlamentari mai visto nell’Italia repubblicana, neanche nei primi anni ’90, dopo lo sconvolgimento di mani pulite e dei referendum elettorali. E un risultato che non consegna alla nuova legislatura nessuna soluzione di governo scontata; forse nessuna tout court.
Nonostante tutto ciò negli ultimi mesi la borsa italiana ha fatto meglio delle altre borse europee. Il Tesoro continua a indebitarsi a tassi di interesse incredibilmente bassi, mai visti prima. Il famigerato spread, quanto paghiamo di più sul nostro debito rispetto ai tedeschi, è rimasto inchiodato ai livelli di inizio anno. Con pochissime oscillazioni, tutti i previsori continuano a scontare ancora una crescita economica per il 2018 non distante da quella, per noi record, del 2017.
Sembra di attraversare una sorprendente bonaccia.
E tuttavia, guardando l’orizzonte…
Le ultime novità congiunturali, come ricordato da Mario Draghi, non sono affatto buone. Forse il meglio del ciclo economico è già alle nostre spalle. E’ vero che il nostro spread non è aumentato; ma gli altri diminuivano; ormai paghiamo di più non solo della Spagna, ma anche del Portogallo. Non è un bel segnale. Settembre si avvicina minaccioso; allora probabilmente cesserà l’acquisto di titoli del nostro debito da parte della Banca Centrale Europea; saremo più esposti ai venti del mercato.
Non c’è molto che l’eventuale nuovo governo possa fare con effetto immediato.
E’ difficile sperare che conduca i conti pubblici su un sentiero più virtuoso di quello già iscritto nella legislazione vigente.
I problemi dell’economia italiana sono di lunga durata: la caduta registrata nel prodotto pro-capite, che ha messo a rischio di povertà un numero crescente di italiani, è conseguenza di una stagnazione della produttività che si appresta a compiere il venticinquesimo anno di vita. Al fondo dei nostri problemi c’è una velocità di crociera della nostra economica che è prossima a zero.
Ma problemi di lunga durata richiedono un lavoro di lunga lena. Una riforma dell’amministrazione pubblica, che ridefinisca cosa e come lo Stato produce. La restituzione al mercato di interi settori economici oggi occupati dalle imprese pubbliche (nella sanità, nei trasporti locali, nella gestione del ciclo delle acque…). Una riforma della contrattazione del lavoro che accresca libertà di scelta al livello locale e di impresa. Un realistico piano finanziario che, anche con il ricorso all’investimento privato, ponga riparo al progressivo degrado della rete infrastrutturale.
Nulla che si faccia in settimane, e neanche in mesi. Ma tutte riparazioni che occorrerebbe fare nella bonaccia. Quando la tempesta arriverà – e dal 1992 arriva ormai periodicamente – non ci sarà che l’emergenza. Nella quale il problema sarà restare a galla; non ci sarà modo di fare gli interventi necessari per consentire alla barca di procedere più velocemente.
Come è scritto nella Lettera ai Corinzi, e come ripetè Carlo Azeglio Ciampi in tempi altrettanto difficili, il tempo si è fatto breve…

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