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L’intero continente africano partecipa solo per il 4% alle emissioni inquinanti globali. Nonostante questo, più del 50% della popolazione ne subisce le conseguenze climatiche. Conseguenze legate a doppio filo alla scarsa crescita economica, alla poca sicurezza alimentare, ad aree rurali sottosviluppate. Per questo a Roma è nato un centro che, sotto il cappello della cooperazione internazionale guidata dall’Italia, faciliterà lo scambio di informazioni tra Paesi G7, organizzazioni multilaterali e paesi africani sulle iniziative prese per lo sviluppo sostenibile e la lotta al cambiamento climatico nel continente.

È stato infatti inaugurato il Centro per il clima e lo sviluppo sostenibile per l’Africa. Si trova dietro le Terme di Caracalla, a pochi passi dalla sede della Fao e non molto lontano dal Ministero dell’Ambiente, che hanno collaborato con l’Undp per la creazione della struttura. Presenti all’inaugurazione il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, l’amministratore di Undp (United Nations development programme) Achim Steiner e il direttore generale della Fao Graziano Da Silva.

Il centro andrà a intervenire, tra i tanti temi, anche sulle migrazioni delle popolazioni africane, spesso conseguenza di eventi climatici estremi, poca sicurezza alimentare e scarsa crescita economica. Tutti anelli della stessa catena, come ha detto il Presidente della Fao, secondo il quale non è possibile “aiutare gli africani se le nuove generazioni sono costrette a migrare”, e non è possibile per loro restare se “non viene attivato lo sviluppo rurale: la produzione di cereali nel contintente degli ultimi anni, ad esempio, è calata dell’80%”.

Il primo grande progetto che verrà curato dal Centro simboleggia il suo operato futuro: “la salvaguardia della fascia più aggredita dalla desertificazione e dal cambiamento climatico, la fascia del Sahel, che attraversa oltre 10 paesi africani”, ha detto Costa. “Stiamo preparando una progettazione significativa in questa fascia, che è anche quella che fa emergere il problema della migrazione in una percentuale particolarmente alta, perché è in una fase di desertificazione molto intensa”. I soggetti che vorranno investire in quell’area, ha detto il Ministro, nel Centro potranno confrontarsi “con le richieste dei paesi del Sahel”, per porre “le basi per una agricoltura che serva a tornare a quel meccanismo di tutela territoriale e ambientale. Non imponiamo un meccanismo di sviluppo ambientale, ma lo condividiamo. Questo ci hanno chiesto, e per questo ci stiamo attrezzando”. “I cambiamenti climatici sono un elemento significativo per le migrazioni. L’Ipcc (l’agenzia dell’Onu per il clima) ci dice che l’aggressione climatica e la desertificazione si sentono di più nei paesi che hanno la maggiore biodiversità e la maggiore esposizione geografica. Queste due cose sono sintetizzate nel continente africano”, ha spiegato Costa.

In questo come negli altri progetti che verranno seguiti dal Centro, la filosofia non sarà quella di “colonialismo ambientale” da parte italiana o europea, come ha specificato Costa, ma sarà basata sulle proposte provenienti dai paesi africani. In proposito il Dg sviluppo sostenibile del Ministero dell’ambiente, Francesco La Camera, da poco eletto anche Dg dell’Irena, ha spiegato che il punto centrale per il funzionamento dell’iniziativa sarà la capacità di attivare investimenti privati nelle aree da aiutare, e di “costruire l’ambiente normativo che le possa favorire. Il centro metterà insieme l’operato del nostro Governo, in questo caso del Ministero dell’ambiente, con le attività delle organizzazioni multilaterali”. Infatti, “il Centro sta già avviando un accordo con Cassa Depositi e Prestiti e Undp”, e oltre al fatto che “i paesi europei e del G7 potranno operare nel Centro”, si sta già lavorando a “un accordo con la Comissione europea”.

 

Il Centro, che rientra nel piano per il rispetto delle strategie climatiche e energetiche dell’accordo di Parigi e dell’Agenda 2030, affonda le sue radici in una proposta presentata dal governo italiano al G7 dei ministri dell’Ambiente del 2017, con l’intesa firmata a maggio dello scorso anno in occasione dell’African day. Nel concreto, con il centro si prevede un continuo scambio di informazioni su interventi, iniziative e buone pratiche realizzate nella lotta al cambiamento climatico, e in generale, nel quadro degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. L’Acsd, African Centre for sustainable development, nasce dalla consapevolezza dell’impatto del cambiamento climatico sulla produzione e sicurezza alimentare dell’Africa, sulla disponibilità idrica e, dunque, sulle opportunità di stabilità e crescita della regione e dalla convinzione che lo sviluppo africano  debba passare per l’accesso ad un’energia affidabile, sostenibile e moderna.

“Rafforziamo un percorso di collaborazione e partenariato con il continente africano che rappresenta un pilastro della nostra politica estera e che questo Governo considera prioritario”, ha detto Conte. Anche il Presidente del Consiglio ha parlato in termini di parità tra i paesi occidentali e quelli africani, e di “condivisione di responsabilità nei confronti di sfide che ci vedono legati da un destino comune: la sicurezza, i flussi migratori, la crescita economica, lo sviluppo umano, il cambiamento climatico”. L’Africa, ha aggiunto il premier “è un continente con uno straordinario potenziale soprattutto umano, che va colto e nutrito. Molti Paesi africani hanno fatto progressi nei processi di riforma e nei programmi di sviluppo: il loro esempio è fondamentale affinché altri Paesi seguano presto”. Ma molta strada secondo Conte “resta da fare per dare alla popolazione africana, ed in particolare alle giovani generazioni, le opportunità di cui essa ha bisogno per costruire il proprio futuro”.

Secondo il Premier, l’Europa deve “fare la sua parte nel promuovere maggiori investimenti strutturali nel continente, favorire la crescita di un’imprenditoria locale matura e sostenibile, offrire formazione e istruzione di qualità e attuare programmi per la lotta al cambiamento climatico. Il futuro dell’Africa è anche il futuro dell’Europa”. Per questa ragione bisogna “investire sul suo sviluppo socio economico, che è anche la via per combattere le cause profonde delle migrazioni irregolari. Un fenomeno di cui non dobbiamo dimenticare che il prezzo più alto è pagato innanzitutto dalle stesse popolazioni africane” ha aggiunto il premier secondo il quale è “più che mai il momento, per l’Italia, di giocare in Africa un ruolo strategico, attraverso una partnership che abbia l’ambizione di realizzarsi nel segno della piena condivisione: condivisione dei traguardi da raggiungere, dei progetti da realizzare, delle responsabilità da assumere. Siamo allo stesso tempo convinti sostenitori di un ruolo più efficace dell’intera Unione Europea nel Continente, senza per questo essere invasivo”.
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